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Il riparto delle competenze tra Stato e Regioni non è tema che scalda i cuori, ma impatta direttamente sulla vita dei cittadini, molto più dell'abolizione o meno del CNEL o degli stipendi parlamentari
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A furia di parlare di immunità dei senatori, di ricorsi al TAR e di combinati disposti, c'è un pezzo fondamentale della riforma costituzionale che rischia di passare sotto silenzio: la riforma del Titolo V, cioè del riparto delle competenze tra Stato e Regioni. Non è tema che scalda i cuori, eppure impatta direttamente sulla vita dei cittadini, molto più dell'abolizione o meno del CNEL o degli stipendi parlamentari. Decidere se lo Stato debba ampliare la propria sfera di intervento nella sanità oppure no, se il turismo debba diventare competenza statale o restare regionale, centralizzare o lasciare decentrate le politiche attiva per il lavoro: se non fossimo preda all'irrazionalità del tempo, nella campagna referendaria ci occuperemmo più di questo che dell'immunità dei senatori.
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Il tema protagonista del recente referendum sulle trivelle - l'energia - è forse l'ambito più delicato tra le materie oggetto della riforma del Titolo V. Tralasciando i toni populisti di chi (come il solito governatore pugliese Michele Emiliano) già lancia allarmi contro il rischio di nuove trivellazioni di mare e di terraferma, la questione della produzione, distribuzione e trasporto di energia è argomento centrale per il futuro del Paese. Dalle fonti più tradizionali a quelle rinnovabili, in ambito energetico l'Italia ha oggettivi problemi regolatori e culturali.
In un confronto pubblico organizzato oggi alla Camera da "Ottimisti&Razionali" (associazione promossa tra gli altri da Claudio Velardi, Mario Sechi, Gianfranco Bordini) per presentare la campagna informativa "Energie al voto", il senatore Gaetano Quagliariello (e sostenitore del No) ha offerto uno spaccato interessante dell'attuale Titolo V: "lo Stato doveva pensare ai principi e le Regioni ai dettagli; lo Stato ha finito per considerare principi i dettagli delle Regioni e le Regioni hanno considerato dettagli i principi dello Stato".
Molto vero, perché negli ultimi anni i governi si sono spesso lasciati paralizzare da regioni bellicose e interessate anzitutto a scacciare dal proprio territorio qualsiasi investimento energetico di un certo rilievo.
Riuscirà la riforma costituzionale a superare questa impasse? Sul punto dell'energia, la distanza tra Quagliariello e la sua interlocutrice (la deputata del PD Chiara Braga, favorevole al Sì) è apparsa limitata. Comunque vada il referendum, infatti, nel campo energetico il dramma italiano è anzitutto culturale e non istituzionale: lo status quo (tra conflitti di competenze, pastoie burocratiche e sovrapposizioni contraddittorie) è indifendibile, ma la vittoria del Sì cambierà qualcosa solo se la politica italiana locale e nazionale imparerà a non sospettare dell'innovazione tecnologica e degli investimenti privati. Detto in altri termini: la riforma del Titolo V, se gli italiani vorranno confermarla col voto del 4 dicembre, dovrà poi essere "usata".
Dopo il referendum costituzionale, dunque, il confronto politico tornerà a essere tra "sviluppisti" e "anti-sviluppisti", tra ottimisti razionali da un lato e pessimisti irrazionali dall'altro, due fronti culturali oggi presenti e mescolati con diversi gradi di intensità sia nel Sì che nel No.
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