Il terrore del Cav. si chiama D’Alema
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Acrobazie di Berlusconi per evitare che FI sia contagiata dal dalemismo
di Salvatore Merlo | 21 Ottobre 2016 ore 06:10 Foglio
Roma. “Fidarsi di D’Alema mai. Farsi fotografare con lui, anche no grazie. Io possiedo ancora il senso del ridicolo”. E Berlusconi? “Ma figurarsi… Berlusconi è l’uomo della pubblicità e del marketing, e secondo voi si mette accanto ai baffi grigi di D’Alema?”. E Daniela Santanchè rende così l’idea di come stanno le cose, anche se, per la verità, Renato Schifani intanto s’incontra con Guido Calvi nei pressi della fondazione dalemiana ItalianiEuropei e i comitati del No, talvolta, come raccontano certe impietose fotografie, stanno a metà tra un ritrovo di reduci e il bar di guerre stellari, con gli uomini della sinistra del Pd che nei capannelli alla Camera, come ha raccontato ieri Francesco Verderami, fanno di conto in questi termini: “Dai che ce la facciamo, Berlusconi ha assicurato che s’impegnerà”. E allora lo si può già immaginare, il Cavaliere, mentre stringe la mano di D’Alema, come ai tempi della Bicamerale? Dicono che la sola idea di una foto con lui, sconfitto e incanutito, gli abbia fatto sentire fredda la fronte. “Il rancore non vende. Corrode”.
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E in questi ultimi due anni, Berlusconi ha osservato i suoi nemici d’un tempo cadere come birilli, gli uomini con i quali per vent’anni s’è vicendevolmente garantito una vita dolorosa. Ecco D’Alema, Veltroni, Bersani, Bindi, tutti rottamati dal ragazzino di Firenze. Non che gli sia dispiaciuto, malgrado anche lui abbia avvertito attorno a sé come la sensazione d’essere circondato da vibrazioni ostili (un trentenne contro un ottantenne), ma il Cavaliere è sempre pervaso d’un ottimismo quasi patologico, la sua forza è quella di truffare il dolore, l’umiliazione, persino l’età: “Loro sono scesi dall’autobus, io ancora no”. Così, a un certo punto, specie nei mesi del Nazareno, lui che maneggia il segreto di rovesciare i valori, ha soppesato con un certo divertito orgoglio l’idea d’essere l’ultimo sopravvissuto d’una stirpe secondorepubblicana, “mi sono guardato allo specchio e mi sono trovato non particolarmente vecchio”, disse a ottobre dell’anno scorso, a Genova. E ancora: “Mi sono guardato e mi sono detto: ce la puoi fare”. Ed eccolo lì dunque, lui solo, inaffondabile malgrado l’età, nonostante gli acciacchi, i ricoveri in ospedale e i processi (che adesso riprendono), eccolo lì, allora, lui solo assieme all’implume sterminatore degli arzilli vecchietti, “ma io sto ancora qua”, i suoi antichi nemici. “E adesso dovrebbe farsi fotografare accanto ai baffi grigi di D’Alema?”. Non funziona.
E che non funzioni se n’è accorto anche Renzi, a quanto pare, altro volpone della comunicazione pubblicitaria – non per niente figlio illegittimo del Cavaliere – lui che infatti provoca e inziga: “Fra D’Alema e Berlusconi è la storia di un grande amore che va anche rispettata…”. Ecco appunto, i baffi non invecchiano solo D’Alema, ma anche chi gli sta accanto, suggerisce Renzi. E lo sa anche lui, anche Berlusconi, che persino nella sua corte di Forza Italia insegue furiosamente, contraddicendosi di continuo, l’idea della cosmesi e del belletto, del ringiovanimento, della novità e della freschezza. Dunque prima le donne “ma che siano giovani e laureate”, i club, i quarantenni, poi lo scettro a Giovanni Toti, poi di nuovo l’investitura di Stefano Parisi… Cipria e chirurgia estetica. Il Cavaliere è sempre quello che non voleva mandare Fabrizio Cicchitto in televisione, perché gli sembrava troppo vecchio, e che invece diceva ad Alfano, “dovresti pensare al trapianto di capelli, sembri mio nonno”.
Così D’Alema ha preso a parlare bene di lui – “E’ un politico di razza”, “uno dei grandi protagonisti”, “la sua riforma costituzionale era migliore di quella di Renzi” – mentre lui si sottrae, e s’innervosisce nel vedere Brunetta che a D’Alema stinge la mano. Ma in Berlusconi non c’è solo la certezza che l’incongruo abbraccio con D’Alema renderebbe in una scintilla l’interezza di un tempo scaduto. C’è in particolare una cosa che Berlusconi trova sballata, ed è quella trasparente infelicità che si rivela nell’eccesso di rancore che D’Alema non riesce a dissimulare, perché “il rancore non vende. Corrode”, dice Berlusconi. E lui di vendite se ne intende.
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