Vogliono solo che Renzi sparisca. Non intendono fare i conti con i loro tanti errori
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Già parlamentare del Pci, direttore de L'Unità e, appunto, presidente della Rai, Petruccioli continua a osservare la politica con gli occhi della passione, che nel tempo si è temperata sempre più al fuoco di idee riformiste
di Goffredo Pistelli twitter @pistelligoffr Italia Oggi, 20.10.2016
«Guardi che il premier non lo conosco neppure», sottolinea al telefono Claudio Petruccioli, «ci siamo incrociati una decina di anni fa a Firenze, a un dibattito sull'informazione all'università, quando lui era un giovane presidente di Provincia e io stavo a Viale Mazzini».
Già parlamentare del Pci, direttore de L'Unità e, appunto, presidente della Rai, Petruccioli continua a osservare la politica con gli occhi della passione, che nel tempo si è temperata sempre più al fuoco di idee riformiste. Negli ultimi anni, ha seguito con dichiarata simpatia il tentativo di Matteo Renzi, prima di rilanciare il Pd e poi di governare il Paese. In ogni caso, è uno dei pochi politici della prima repubblica, capace di guardare all'oggi senza spirito di revanche o nostalgie.
Domanda. Petruccioli, ormai il dibattito sul referendum, dal destino personale di Renzi, s'è spostato sul giorno dopo il voto. Ossia che succederà esattamente il 5 dicembre, quale che sia il risultato. Anche Arturo Parisi l'ha fatto, da queste colonne, segnalando che, in caso di vittoria del No, vede all'orizzonte il proporzionalismo
Risposta. L'ho letta, quell'intervista. Molte ragioni di Arturo, sono le mie. È evidente, tuttavia, che questo esercizio vale soprattutto se vince il No.
D. Perché, se le riforme venissero confermate?
R. Beh, in quel caso la strada di Renzi è chiara: aggiustamento eventuale della legge elettorale, visto che ha fatto recentemente un'apertura in questo senso, e poi voto alla scadenza di legislatura. La soluzione di continuità, la frattura, arriverebbe in caso di bocciatura di quelle modifiche costituzionali.
D. Appunto. E che cosa accadrebbe?
R. Mi fa dire una cosa prima?
D. Ci mancherebbe.
R. Anche questo spostamento, dal merito del referendum alle conseguenze politiche del voto, può risultare deviante, visto che mette sullo stesso piano cose diverse, ossia cambiamenti che produrrebbero effetti per decenni – e sarebbe così anche se fossero accantonati - e la sorte di un gabinetto che, comunque, vivrà al massimo per altri 15-18 mesi, ossia fino alla fine della legislatura. Mi viene in mente una figura retorica, l'hysteron proteron.
D. È greco, materia per le mie figlie, che hanno fatto il classico. Che significa?
R. L'inversione fra il fattore meno importante, che viene portato in primo piano, rispetto a quello decisivo che finisce sullo sfondo. Sta accadendo questo.
D. Vede una soluzione?
R. Guardi una, paradossale, ci sarebbe. È una fantasia, non un suggerimento.
D. Avanti.
R. Che Renzi, a 15 giorni dal 4 dicembre, dicesse: lascio la politica, vi saluto.
D. E che accadrebbe?
R. Che quelli del No dovrebbero finalmente fare i conti col merito di questa vicenda.
D. Ci sono tanti suoi ex-compagni, là in mezzo. Come li vede?
R. La cosa singolare è che accusano il premier d'avere, per così dire una cultura «ducesca»: sa la polemica del «capo», di «quello che comanda» e via dicendo...
D. Certo.
R. Ma poi loro stessi giudicano con una logica decisamente ducesca: vogliono che Renzi sparisca dalla vita politica. Mi paiono quei fascisti che, di colpo, ce l'avevano con Mussolini, decaduto...
D. Quelli che gli voltarono le spalle dopo il 25 luglio.
R. Esatto. Che urlavano «via il Puzzone!», non avendo voglia di fare i conti coi loro tanti errori, di cui invece avrebbero dovuto vergognarsi. Oggi, per loro, è così: togli Renzi, togli il danno. L'altro giorno, un caro amico, Duccio Trombadori, m'ha scritto una mail appassionata.
D. Il critico d'arte. A che proposito?
R. Sulle riforme, dicendomi che lui sarebbe favorevole, se ci fossero riformisti seri come me, bontà sua. Ma con Renzi, no.
D. E lei che gli ha risposto?
R. Che questo significa rinunciare a ragionare.
D. Torniamo a quelli del No. Quali sono le regioni vere?
R. Quelle che ha detto bene Arturo Parisi, nella vostra intervista: un ceto politico che ha bisogno ancora del proporzionalismo, del funzionamento oligarchico del potere, del contrattualismo in cui nessuno vince e nessuno perde e tutti giocano al tavolo delle spartizioni di vario tipo. Usano il collante del «via Renzi», ma queste sono le ragioni vere. L'Italicum era un alibi: ora che il premier si è detto disposto a modificarlo, nessuno ne parla più, ha notato?
D. Poniamo che vincano, che succede?
R. Qui entriamo nel campo delle previsioni, e l'autorizzo a chiamarmi il 5 dicembre per chiedermene conto.
D. Lo metto in agenda.
R. Nel No ci sono due partiti: quelli che vorrebbero Renzi appeso a testa in giù, stile Piazzale Loreto, e quelli che vorrebbero che continuasse. Fra questi ci sono Massimo D'Alema, dopo molte oscillazioni, ma anche Pier Luigi Bersani, Stefano Parisi, lo stesso Luigi Di Maio per certi versi. E tutti lo fanno perché, se Renzi cadesse, nessuno sarebbe in grado di mettere in piedi un'alternativa. Sono un po' come quelli della Brexit che, dopo aver vinto, se la sono squagliata.
D. Ma ci sono posizioni diverse?
R. Certo. Il M5s, per dirla col gergo del poker, ha una bilaterale aperta.
D. Mi spieghi.
R. Gli andrebbe bene anche se precipitasse tutto e si andasse a elezioni rapidamente, anche con queste leggi, con il Pd che si troverebbe nel marasma e il centrodestra messo male. Oppure, come hanno già chiesto, sarebbero contenti anche di una nuova legge elettorale proporzionale, che permetterebbe loro di stare alla finestra e di non allearsi con nessuno.
D. E gli altri?
R. Gli altri, i D'Alema, i Bersani, i Parisi, vogliono rimettere le mani in pasta. Non pensano, con la proporzionale, di diventare loro padroni del tavolo, ma che, con quel sistema, rientrerebbero nella dinamica solita: accordi, ricatti, rotture/accordi, ricatti, rotture.
D. E Renzi, in tutto questo?
R. Da quello che osservo, e se non mi sbaglio nel giudicarlo, non continuerebbe a governare, in caso di sconfitta della riforma. Non accetterebbe di far finta di niente. Senza sconquassi, salirebbe al Quirinale e si dimetterebbe.
D. Dopodiché? Un governo del presidente?
R. A guida, immagino, della seconda carica dello Stato, Pietro Grasso. Per fare l'unica cosa possibile: raccordare la legge elettorale della Camera con quella proporzionale del Senato. L'intervento della Consulta, di tre anni fa, invase il terreno legislativo, con una decisione che suscita ancora oggi molte discussioni e perplessità.
D. E il fronte dei vittoriosi dovrebbe accordarsi.
R. Già, ma non credo che sarebbero capaci di farlo, neanche con la moral suasion di Sergio Mattarella e Grasso.
D. Perché?
R. Le faccio un esempio. Il Consultellum prevede, per il Senato, un sbarramento dell'8%. Se la immagina una trattativa fra quelli del No, per abbassare quella soglia? Il 4%? Il tre? Non deciderebbero un beneamato... accidente.
D. E come si chiuderebbe quella partita?
R. Che il Parlamento finirebbe per decidere sotto dettatura della Corte Costituzionale, di nuovo. Quindi i filistei, gli integralisti difensori della Costituzione come fosse Fort Alamo, otterrebbero come risultato il passaggio dalla repubblica parlamentare a quella giudiziario-tecnocratica; un passaggio storico.
D. «Giudiziaria», mi è chiaro, ma perché tecnocratica?
R. L'ha letta l'intervista a Mario Monti, ieri (l'altro ieri per chi legge, ndr)? Il senatore è uno che pesa al milligrammo non solo le parole, ma anche le virgole. E nelle sue motivazioni per il No...
D. ...che non c'entrano con la riforma, ma sono un giudizio su Renzi...
R. Esatto. Nelle sue parole c'è tutta la sfiducia verso la politica. Per lui, a prendere le decisioni che contano, devono essere gli organi giurisdizionali, di vario ordine e grado, oppure gli esperti e i competenti. Come lui, che è diventato senatore a vita e presidente del Consiglio per questo.D. La terza repubblica sarebbe tecno-giudiziaria. Un'immagine suggestiva, Petruccioli. E inquientante.
R. Una repubblica che potrebbe andar bene anche al M5s. Non è affatto incompatibile col suo «uno vale uno».
D. E perché?
R. Guardi Roma. Più la sfida è difficile e più cercano i curricula. Di chi? Di magistrati e di competenti, vedi l'imprenditore Massimo Colomban, che hanno scelto come assessore alle partecipate.
D. Molti magistrati hanno detto di no.
R. Ma non è detto che, trattandosi del governo nazionale, altri continuino con gli stessi dinieghi.
D. E il Pd che cosa farebbe?
R. Se si votasse nella primavera 2017, al Nazareno dovrebbero fare il congresso. Lì vedremmo se si spacca o se regge: io credo che Renzi rivincerebbe le primarie. Certo che cambierebbero molte cose.
D. Ossia?
R. Con una legge elettorale proporzionale, la clausola del segretario che diventa candidato premier, non avrebbe più senso. Renzi dovrebbe farci i conti. E dovrebbe prepararsi alla mediazione infinita con l'altra sinistra, con altri soggetti più piccoli di un'eventuale coalizione. Numeri che saranno molto difficili. Tant'è vero...
D. Tant'è vero?
R. Che c'è un pezzo di opposizione interna dem, che vorrebbe abbassare il premio di maggioranza dell'Italicum perché comunque non si arrivi mai al 50%, e che chi vinca sia sempre e comunque condannato alla coalizione. Un tentativo subdolo.
D. La cultura del cespuglio. È la corrente agreste, diciamo. Ma lei, Petruccioli, cosa vede in giro?
R. Da pensionato mi spingo ogni tanto in centro, a Roma, in quelle trattorie che, intorno a Palazzo Madama, sono abitualmente piene di senatori.
D. E che cosa nota?
R. Vedo che c'è un interesse, vivo e vitale, a che quell'assise rimanga e che quei 315 posti non vengano aboliti, invece che diventino, per il terzo che resterebbe, appannaggio di altri, gente che con loro non c'entra niente. Ognuno coltiva ancora questa idea, di poterlo riavere quel laticlavio; la condizione è, ovviamente, che quei posti siano messi ancora a concorso. Faccia la riprova, Pistelli, vada fra quei tavoli.
D. Lei dice che fra una fettuccina e una gricia si vede?
R. Caspita se si vede.
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