Fronda anti D’Alema nella fondazione di D’Alema
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Alla Feps, fondazione europea dei progressisti presieduta da D’Alema, silenzio e imbarazzo per il suo “No”
di David Carretta | 18 Ottobre 2016 ore 06:04 Foglio
Bruxelles. L’autorità di Massimo D’Alema nella grande famiglia del socialismo europeo è messa in discussione dopo che perfino la Feps, la fondazione presieduta dall’ex premier italiano, ha votato a favore di un documento di sostegno del Pse a Matteo Renzi sul referendum del 4 dicembre.
L’episodio risale a venerdì, quando si è riunito a Bruxelles l’ufficio di presidenza del Pse, e viene descritto da diverse fonti come un “esempio della scarsa responsabilità” di alcuni leader, pronti a mettere a rischio la stabilità dell’Ue per ambizioni personali o giochetti politici nazionali. “Accade la stessa cosa con i socialisti valloni sull’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Canada”, dice un osservatore brussellese. D’Alema non era presente all’incontro, ma la Feps – la Fondazione europea per gli studi progressisti che raggruppa le fondazioni della famiglia socialista in Europa – aveva inviato un suo rappresentante. “Il sostituto di D’Alema in quel contesto si è espresso a favore” del documento di sostegno a Renzi, rivela al Foglio una fonte socialista. Nell’ufficio di presidenza del Pse, di cui la Feps è parte, “c’è stato consenso”, conferma un altro esponente.
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Sul referendum la posizione del Partito del socialismo europeo, presieduto dal bulgaro Sergei Stanishev, è chiara: “Sostegno” al Pd “nei suoi sforzi di modernizzare l’architettura istituzionale dell’Italia”.
L’ufficio di presidenza del Pse è convinto che “i cambiamenti introdotti porteranno più stabilità all’Italia risolvendo quello che da decenni è considerato un problema sistemico”. Grazie alla riforma costituzionale, l’Italia non solo sarà più efficiente, ma “giocherà un ruolo di leadership all’interno dell’Ue”. L’invito a “tutte le forze progressiste nel paese” è di “contribuire a questo processo storico, dimostrando la capacità del sistema politico democratico di riformarsi e di fornire soluzioni innovative”. La piccata risposta di D’Alema non si è fatta attendere. “Il Pse si è schierato per il Sì al referendum costituzionale, buon ultimo dopo l’ambasciatore americano, JP Morgan, Confindustria e la signora Merkel. Tutti questi signori, compreso il Pse, dovrebbero farsi i fatti loro e rispettare il popolo italiano”, ha detto domenica l’ex premier a “In mezz’ora”.
La reazione di D’Alema ha creato un certo stupore a Bruxelles e molto imbarazzo dentro la sua fondazione: “Mostruoso” si spinge a dire un esponente del gruppo dei Socialisti&Democratici all’Europarlamento. Bussare alla porta degli uffici della Feps per chiedere lumi sulla trasformazione del suo presidente da leader europeista in un nazionalista stile Salvini è impresa inutile. “Trattandosi di una questione nazionale, la Feps non fa alcun commento”, ha detto al Foglio il portavoce della Fondazione, Alain Bloedt. I successivi tentativi sono andati a vuoto: “Nessun commento”. Ma tra i nove membri dell’ufficio di presidenza della Feps, che include di diritto Gianni Pittella e Catiuscia Marini in quanto presidenti dei gruppi socialisti all’Europarlamento e al Comitato delle regioni, almeno cinque sostengono lo sforzo riformatore di Matteo Renzi: oltre ai due italiani e al bulgaro Stanishev, il francese Pascal Lamy e l’ungherese Zita Gurmai. “Il Pse ha fatto bene a prendere apertamente posizione sul referendum italiano” perché “la riforma del governo Renzi attiene alla stabilità e al futuro dell’Italia” e “quindi al futuro dell’Europa”, spiega al Foglio Pittella, prima di chiedere a D’Alema e soci: “Di cosa dovrebbe occuparsi il Pse se non del futuro dell’Europa, dei cavoletti di Bruxelles?”.
Un chiarimento (o una resa dei conti) è atteso per oggi, quando D’Alema sarà a Bruxelles per una convention dal titolo “Insieme: una nuova direzione per un’Europa progressista”.
“Insieme ai nostri partner tra cui la Feps, lanciamo un processo in cui giovani e cittadini saranno protagonisti insieme ai leader della nostra famiglia nel ridefinire e rivedere strategie, politiche e idee”, dice Pittella quasi a voler tendere un ramoscello d’ulivo. Tra gli stranieri della grande famiglia socialista, molti non riescono a comprendere la spaccatura interna al Pd. Renzi è considerato l’unico leader socialista nell’Ue in grado di tenere testa all’onnipotenza della cancelliera tedesca, Angela Merkel. Il presidente francese, François Hollande, è sempre più screditato, al punto da rischiare di perdere le primarie del Partito socialista francese. Il Psoe spagnolo è tormentato dai conflitti interni che hanno portato alle dimissioni del suo segretario generale Pedro Sánchez. Il Labour britannico con Jeremy Corbyn si sta condannando a decenni di opposizione. I socialdemocratici tedeschi al massimo possono aspirare a continuare a fare il partner di minoranza in un governo di grande coalizione. Ma ad allarmare il Partito del socialismo europeo, in caso di sconfitta di Matteo Renzi al referendum, è la prospettiva che l’Italia possa finire nelle mani del M5s o di altri populisti anti europei. La stessa preoccupazione è condivisa dal Partito popolare europeo e dalla Commissione. “Se molliamo Renzi, molliamo l’Europa”, avrebbe detto Jean-Claude Juncker in una riunione dell’esecutivo comunitario, secondo quanto riportato da Reuters.
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