Lettere al Direttore Il Foglio 12.3.2016
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Il caso D’Alema dimostra che a Renzi non resta che il paradigma Confalonieri. Incalza e Pascale. Vico, corsi e ricorsi elettorali di Antonio Bassolino: per i napoletani è una fissazione.
1-Al direttore - D’Alema: non produco vini da bollito.
Giuseppe De Filippi
2-Al direttore - C’è un’involontaria ironia, ma anche una chiara realtà, nel box che il Corriere della sera dedica ai rapporti tra governo e sindacati. Il titolo sembra evocare i riti concertativi della mitica sala Verde: “Palazzo Chigi. Il ritorno di Cgil Cisl Uil: si tratta sulla produttività”. Poi nel corpo dell’articolo si legge: “… una delegazione di dirigenti sindacali incontra lo staff del sottosegretario Nannicini”. Insomma, non siamo ancora alla trattativa via Twitter, ma poco ci manca.
Valerio Gironi
3-Al direttore - Ho letto l’intervista di D’Alema al Corriere e mi ha colpito un passaggio. “Sta crescendo un enorme malessere alla sinistra del Pd che si traduce in astensionismo, disaffezione, nuove liste, nuovi gruppi. Si tratta di un problema politico e non di un complotto di D’Alema, che è impegnato in altre attività di carattere culturale e internazionale… Il Pd è finito in mano a un gruppetto di persone arroganti e autoreferenziali. Dei fondatori non sanno che farsene. Ai capi del Pd non è passato per l’anticamera del cervello di consultarci una volta, in un momento così difficile… Molti elettori ci stanno abbandonando. Compresi quelli che ci avevano votato alle Europee, nella speranza che Renzi avrebbe rinnovato la vecchia politica: ora vedono un gruppo di persone che ha preso il controllo del paese, alleandosi con la vecchia classe politica della destra. Non so quanto resteranno in stato di abbandono. Nessuno può escludere che, alla fine, qualcuno riesca a trasformare questo malessere in un nuovo partito”. D’Alema può essere più o meno arrogante ma formula delle accuse circostanziate. Che ne pensa?
Luca Taddei
L’intervista di D’Alema è geniale nella sua perfidia ma credo che il vero punto della questione sia uno. D’Alema, come molti altri nel Pd, come tutto il club degli ex premier (Letta, Prodi), un nuovo partito lo ha già fondato ed è il Pdp: il partito del pretesto. Il partito del pretesto usa, appunto, ogni pretesto per dimostrare, con robuste interviste sui giornali, che Renzi è inadatto non solo a governare il paese ma anche a guidare il Pd perché la sinistra, con Renzi, ha subìto una mutazione antropologica irreversibile che ha portato il Pd renziano a una scissione sentimentale con la sinistra. Da un certo punto di vista, D’Alema ha perfettamente ragione. La sinistra renziana è una sinistra che ha portato avanti una scissione forte e decisa con la sinistra dalemiana. E, in virtù di questo strappo, la sinistra renziana ha cominciato a perdere qualche iscritto per strada, qualche militante storico della vecchia sinistra, ma ha contemporaneamente iniziato a conquistare un bacino elettorale nuovo, quello che potremmo chiamare, per semplificare, il ventre del paese. D’Alema non può accettare questo schema perché nella testa dei D’Alema esiste solo un unico schema possibile per la sinistra. In politichese, di solito, lo schema si traduce così: D’Alema vuole mettere un trattino tra la parola centro e la parola sinistra, Renzi vuole togliere il trattino tra la parola centro e la parola sinistra. Nello schema di D’Alema, il Pd deve essere il perno di una grande federazione di sinistre. Nello schema renziano, il Pd deve essere il contenitore delle sinistre. Il primo schema, quello dalemiano, lo abbiamo sperimentato e abbiamo visto che ha portato sempre allo stesso risultato: vittorie risicate alle urne, disastri conclamati al governo. Il secondo schema, quello renziano, lo stiamo sperimentando oggi. Il primo risultato è che, con quello schema, Renzi ha dimostrato che il Pd può arrivare fino al 40 per cento. E’ una partita delicata, perché se tu strappi con la sinistra e non conquisti la destra rischi di rimanere intrappolato, ma è l’unica partita che si può giocare per permettere alla sinistra di conquistare il paese. La sinistra che vuole vincere le elezioni è una sinistra che deve trasformarsi geneticamente. La sinistra che non si trasforma geneticamente è una sinistra che parla molto ai militanti del Pd e poco al paese. D’Alema dice di essere stato in Iran dove Vodafone non prende e dunque non sa “nulla di quello che è successo in questi giorni”. A voler essere maliziosi, il D’Alema che chiede al Pd di oggi di tornare alle sue origini è un D’Alema che appare disconnesso dalla realtà forse da più di due giorni, diciamo. Il partito del pretesto esiste, naturalmente. Ma per vincerlo Renzi oggi non ha altra strada che insistere su un percorso preciso: cercare nuovi elettori, seguire, se vogliamo, il paradigma Confalonieri.
4-Al direttore - A mettere insieme tre significativi interventi sul Foglio di ieri, quello di Antonio Pascale in prima, quelli della signora Maria Grazia Boccali e di Rino Formica nelle Lettere, potremmo sintetizzare forse così? Il romanzo col romanziere onnisciente non c’è più, la famiglia tradizionale non c’è più, i giornalini e giornaletti di un tempo non ci sono più, e del futuro del Corsera non interessa niente a (quasi) nessuno. Cose da “Tramonto dell’Occidente” e/o “Il mondo di ieri”. Resisterebbero, chissà perché e per quanto ancora, i giornalisti: “O appagati e fregati o ribelli e zimbelli” (Formica dixit). Come sempre: l’Eterno Ritorno (suonare Balzac o Flaubert, piano nobile). Poveracci, signora mia!
Luca Rigoni
5-Al direttore- Dai corsi e ricorsi storici di Giambattista Vico ai corsi e ricorsi elettorali di Antonio Bassolino: per i napoletani è una fissazione.
Michele Magno
6-Al direttore - Dopo la conclusione dell’ennesimo fattaccio quotidiano, col quindicesimo proscioglimento di Ercole, Incalza una domanda: trattandosi di un (ormai) normalmente-kafkiano presunto duplice reato di “abuso di buon senso ed eccesso di legittima difesa dell’interesse pubblico, perpetrato da un funzionario dello stato nell’esercizio acrobatico colposo delle sue funzioni”: depenalizziamo?
Tamara