Flores D’Arcais cerca l’Altrachiesa, non la trova e fa un’AltraMicroMega
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Preti, suore e monsignori sulla pugnace rivista di sinistra
di Alfonso Berardinelli | 12 Settembre 2015 ore 06:14 Fooglio
Con il suo ultimo numero (6/2015) MicroMega ci fa una sorpresa. Mette da parte il suo ateismo militante, entra in chiesa e abbraccia il Papa. In copertina il titolo è: “Francesco e l’Altrachiesa”. Seguono i nomi dei molto numerosi invitati a dire la propria su Bergoglio. Fra questi abbondano, sovrabbondano i nomi preceduti da “don”, “suor”, “mons.” e “padre”. Dunque un numero di MicroMega “consacrato” (come dicono i francesi) alla chiesa e messo nelle mani di suore e preti… Una cosa da non credere. E per me anche un sollievo. Mando un caro saluto all’amico direttore Paolo Flores d’Arcais, a cui devo per il passato diversi fraterni inviti a collaborare, con cui ho in comune tuttora qualche punto di vista filosofico, ma che da quando scrivo sul Foglio non mi chiama più.
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Dunque, forse, per essere di sinistra non è assolutamente necessario, neppure per la pugnace rivista di Flores, indossare ventiquattr’ore su ventiquattro, anche dormendo, la divisa delle scienze positive e dell’ateismo. Il fascicolo precedente dedicato alla scienza non lasciava sospettare la possibilità di una così appassionata, spregiudicata attenzione a quanto di buono sta accadendo nella chiesa. L’editoriale di quel numero era firmato dal fisico Carlo Rovelli, nuova star nelle classifiche dei libri più venduti. L’editoriale di questo numero successivo è costituito dal testamento spirituale di fratel Arturo Paoli, morto più che centenario due mesi fa, a cui viene dato redazionalmente il titolo “Wojtyla e Ratzinger hanno tradito il Concilio”. Titolo forte ma non arbitrario, perchè don Arturo Paoli nel suo testamento scrive: “Se mi si chiedesse a quale chiesa appartengo, quella a cui aderisco, direi, senza esitazioni, è quella del Concilio Vaticano II, quella della Lumen Gentium, della Gaudium et Spes (…) non dimentichiamo mai che il nostro luogo di nascita si professa cristiano-cattolico ma presentemente noi facciamo parte di un sistema politico il più antievangelico immaginabile”.
Parole chiare. Nelle pagine della sua biografa Silvia Pettiti viene ricordato che Arturo Paoli è stato una “grande figura della spiritualità contemporanea” e che “la povertà è uno dei temi che attraversano tutta la sua vita (…) La presenza della povertà gli è stata ‘consueta’ negli anni della giovinezza (…) La povertà è stata ‘ispirazione’ della sua scelta di diventare sacerdote”. Quella che lo attirava e lo guidava non era la teologia speculativa e dottrinale che tanto piace ai nostri filosofi neometafisici, pronti a dare lezioni greco-latine di cristianesimo al Papa e ai cardinali. Era piuttosto la teologia della carità e della misericordia, della prossimità fisica, creaturale a chi soffre.
Seguono otto domande su Papa Francesco rivolte a una trentina fra religiosi, intellettuali, politici e giornalisti, fra cui Luigi Accattoli, Gian Carlo Caselli, Adriana Destro e Mauro Pesce, Giovanni Franzoni, Bartolomeo Sorge, Marco Travaglio. Fra i tanti pareri espressi è difficile scegliere. Ne ho letti una buona metà e mi sembra che il giudizio positivo su Bergoglio prevalga nettamente sulle perplessità. Ho trovato particolarmente equanime e realistico quanto dice Marco Travaglio: “Papa Francesco ha trovato in Vaticano, in curia e nella chiesa gerarchica in generale una situazione talmente incancrenita e degradata dai continui scandali da farmi pensare che abbia fatto per il momento il massimo che gli era consentito (…) penso che non siamo di fronte soltanto a belle parole, buone intenzioni, giaculatorie e pateravegloria, ma a cambiamenti di sostanza, che naturalmente richiedono del tempo (…) la chiesa non è una grande assemblea modello Sessantotto, dove il primo che si alza dà la linea: è un’istituzione bimillenaria che si regge sulla tradizione e ha le sue regole (…) entrare in queste questioni significa praticare quel facilissimo sport nazionale che è insegnare il mestiere al Papa. Il Papa non può essere un passante che all’improvviso rinuncia a tutte le sue prerogative. Le regole della chiesa sono quelle, chi non le accetta non dovrebbe neanche preoccuparsi troppo se la Chiesa lo mette fuori o lo sanziona”.
Se poi (aggiungo io) si vuole essere, come Simone Weil, cristiani fuori della chiesa, è questa un’impresa che può essere tentata, purchè si abbiano convinzioni vere e sufficienti forze morali e intellettuali. Professare idee forti deve pur comportare qualche prezzo.
Un’idea che nel numero di MicroMega mi lascia in dubbio è quella di “Altrachiesa”. La chiesa, anche con Bergoglio e con le sue innovazioni, è una. Anche prima, quando sembrava più unita, era divisa, plurima e stratificata. Il vecchio marchingegno dialettico inventato da Eraclito e che in varie forme si ritrova in molte tradizioni filosofiche e sapienziali, dice che tutto cambia e quando qualcosa o qualcuno cambiano è perché avevano in sé sia A che B, sia l’idem che l’alter, sia l’identico che il diverso. Ora la dialettica si è rimessa in moto un più visibilmente. L’uno si scinde in due e si trasforma. Anche la rivista MicroMega è la stessa ma anche un’altra.
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