La crisi della chiesa italiana? "Ragiona secondo il mondo". Parla monsignor Negri
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“Mi rendo conto che quello che sto per dire non è in linea con l’ottimismo imperante, ma la società italiana è contraria alla chiesa
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di Matteo Matzuzzi | 10 Settembre 2015 Foglio
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Roma. “Mi rendo conto che quello che sto per dire non è in linea con l’ottimismo imperante, ma la società italiana è contraria alla chiesa”. Mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, è preoccupato. Guarda fuori l’arcivescovado, riflette e “senza scadere nei purtroppo consueti toni da bar”, fa la diagnosi dello stato di salute della chiesa nella nostra società. “Noto una certa coesione, dentro il mondo ecclesiastico e dei movimenti, sul fatto che non bisogna mettere in crisi l’unità della società. Ma questi non comprendono che l’unità di questa società è l’unità contro la chiesa, e non mettersi contro un’unità che è contro la chiesa, vuol dire di fatto favorire l’attacco alla chiesa”. E questa, dice “è la prima esperienza intellettuale e morale che si prova quando si accosta il variegato mondo della cristianità italiana”. La situazione, spiega, “è paradossale”: “L’attacco è frontale, e investe le radici stesse non tanto – o soltanto – della fede, ma della società”. Gli esempi sono quelli di cui tanto si discute: “Penso alla questione del gender, della sacralità della vita. Di fronte a questi attacchi è come se il mondo cattolico non dico che guardi da un’altra parte ma peggio: rischia di non accorgersi affatto della pervasività di questo attacco, non vedendo cose che normalmente si vedono a occhio nudo”. C’è anche la responsabilità della chiesa o, almeno, di qualche suo settore, facciamo notare.
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“Certo, il fatto che molta chiesa italiana sul gender non abbia detto niente, o quasi, costituisce uno scandalo per i credenti”. Il Papa, però, le parole sul gender le ha dette. Ci sono intere catechesi del mercoledì sul tema. “Mi domando se la cosiddetta teoria del gender non sia espressione di una frustrazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa”, diceva lo scorso aprile, ad esempio. “E’ vero”, dice l’arcivescovo di Ferrara: “Il Santo Padre è ripetutamente intervenuto sulla questione del gender, ed è stato non soltanto inequivocabile ma ha spinto a una azione sociale. Ora – dice Negri – dobbiamo riconoscere che gli inviti del Santo Padre non dico che siano stati disattesi ma certamente non sono stati un punto di promozione, tranne che per un gruppo di ecclesiastici italiani che parlando alle loro diocesi, e io mi metto fra questi, hanno reso possibile la partecipazione di tanto mondo cattolico a una manifestazione (il 20 giugno) che, anche dal punto di vista sociale, ha avuto il rilievo che conosciamo. Si tratta di chiarire dunque dove sta la ragione di questa grande debolezza”. Domanda che si è posto anche il cardinale Rylko, a giudizio del quale “la manifestazione di Roma non è stata una manifestazione contro qualcuno, ma ha voluto essere un umile servizio alla grande causa dell’uomo, oggi minacciata da più parti”. Dove stia, la ragione della debolezza, Negri lo dice subito dopo: “Come dice san Giacomo, la religione pura consiste nel soccorrere i bisognosi ma soprattutto nel non uniformarsi alla mentalità di questo mondo”. Il problema è che “oggi ci troviamo di fronte una cristianità che ragiona secondo il mondo e che non ha la forza di opporre al mondo un’alternativa sul piano della verità della vita. In tal senso ci troviamo di fronte a una crisi culturale della cristianità italiana”.
Il problema è che ormai “i criteri fondamentali di giudizio della realtà sono presi dalla mentalità mondana e ci si rassegna a occupare solo gli spazi che questa società consente, ovvero spazi di spiritualità individuale e di iniziative caritative depotenziate, come ci ricorda Benedetto XVI all’inizio della Caritas in Veritate, quando scrive che “senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo”. Un quadro allarmante, una diagnosi che necessiterebbe di una terapia forte: “Credo davvero che occorra, a tutti i livelli e ciascuno nel suo campo, riproporre il cristianesimo nella sua oggettiva radicalità, per renderlo attuale ovvero un’esperienza pienamente corrispondente alle esigenze dell’uomo d’oggi”. Si potrebbe obiettare a mons. Negri che – considerato il livello di secolarizzazione che ormai ha permeato anche la società italiana – la terapia delineata appare di non così facile applicazione. Soprattutto, non si vede chi potrebbe metterla in pratica: “Devo dire che a questo livello la delusione più cocente – non solo mia ma di molti ecclesiastici veramente preoccupati per la presenza significativa del cristianesimo nella nostra società – è la sostanziale vanificazione del mondo associativo e laicale: è come se non ci fossero più i movimenti e le associazioni a sostenere il necessario e continuo confronto col mondo. La speciosa giustificazione è che non è più il tempo delle proposte forti che, quando ci sono, vengono additate come crociate. Senza considerare poi il fatto che un minimo di sensibilità storica dovrebbe far vergognare del modo con cui tanto mondo cattolico parla di crociate, fenomeno che non si conosce assolutamente e che viene criminalizzato sulla base di un laicismo insopportabile”.
A ogni modo, dal torpore qualcuno s’è svegliato, andando oltre il caos calmo in cui versa la disorientata Cei di questo ultimo biennio: “Penso in particolare a quando alcuni vescovi hanno parlato con chiarezza, ad esempio nel caso della manifestazione del 20 giugno scorso, e la maggior parte del popolo cattolico ha risposto, totalmente incurante dei dissidi interni alla Conferenza episcopale italiana. Questo ci dice che forse l’aspetto determinante, e l’ho anche scritto più volte, è che l’episcopato di base ha ripreso la sua funzione di guida”. Sull’associazionismo, l’arcivescovo di Ferrara è drastico: “La sua crisi è gravissima, e per questo la possibilità d’incidenza della chiesa in Italia è compromessa da una sostanziale inerzia di tante realtà cattoliche che fino ad ora erano risultate decisive”.
La conversazione si sposta poi sul dramma dei cristiani perseguitati in vicino e medio oriente. “La terribile esperienza di violenze rende chiaro che l’Isis ha dichiarato esplicitamente guerra al mondo e non conosce regole, quelle regole che sono nate dalla grande civiltà del diritto, soprattutto occidentale. Lì, infatti, si ammazzano donne, bambini, anziani, si stupra, si violenta, si distruggono i grandi monumenti della cultura e dell’arte mondiale”. E per fermare lo sterminio, bisogna agire. Non ha dubbi, mons. Negri: “La nostra cristianità, a certi livelli di responsabilità culturale e istituzionale, non si è ancora resa conto che forse è il momento di riprendere, con gli opportuni aggiornamenti e con le necessarie articolazioni, quell’idea fondamentale di san Tommaso d’Aquino – fatta propria dalla tradizione della dottrina sociale della chiesa – per cui è tollerabile che esista una forte azione di legittima difesa e di protezione, anche armata se necessario”. Agire così, però, presuppone una profonda riflessione, “perché per ipotizzare l’idea di una esperienza come questa, comunque eccezionale, bisognerebbe avere dei valori per cui si vive, per cui si lotta e per cui si è disposti a morire. Questo occidente ha tali valori?”, si domanda il presule, prima di toccare la questione che più d’ogni altra sta coinvolgendo l’Europa, con le migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Unione: “E’ un fenomeno di migrazione epocale, certamente già accaduto ma in modo meno marcato in altri momenti della storia dell’occidente, che non si può affrontare senza una cultura adeguata. Non si può ridurre il problema a un banale ‘tutti dentro o tutti fuori’, insopportabile semplificazione di un razzismo incondivisibile, ma neanche a un buonismo che, alla lunga, non è certamente una soluzione. Occorre che l’occidente si renda conto di quello che è in gioco in tutti i suoi aspetti fino alle possibili conseguenze”. Ma la cultura che domina oggi l’occidente, qual è? “E’ ciò che rimane dell’orrenda crisi delle ideologie moderne contemporanee con la loro presunzione ateistica? E’ una cultura di tipo individualistico, consumistico, che vede la tecnoscienza come la soluzione di tutti i problemi? Questa – dice Negri – non è affatto cultura. E non si può stare di fronte a una massiccia migrazione, come quella che sta avvenendo, se non si hanno ragioni adeguate per vivere e per affrontare correttamente la realtà”. Questo occidente, invece, “è disposto a vendere tutto, anima compresa; anche perché nella maggior parte dei casi l’occidente non sa neanche più di avere un’anima. Il che significa, a mio parere di pastore, che oggi la grande responsabilità ecclesiale è quella di una nuova radicale evangelizzazione, ovvero di un cammino educativo che riformi il popolo cristiano e che lo metta in grado di assumersi tutte le conseguenti responsabilità culturali, sociali, politiche e caritative”.
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COMMENTI
1- ANTONIO CASOLARI • 2 ore fa
Siamo a corto di favole? Dunque, spingiamo l'acceleratore sulle favole - di 5000 anni fa. Non c'erano nemmeno le biciclette, a quel tempo. Ma cosa importa. In cielo non c'è niente? Ma cosa importa. Insistiamo con le favole! Trionfo della ragione!
2- Paolo Carcano • 3 ore fa
La crisi della Chiesa, messe di Cristo, è che mancano operai a lavorarla. La messe è molta ma gli operai sono pochi. Gli operai evangelici non sono i preti o i vescovi, il cui numero decresce e si adegua oggi proporzionalmente all'apostasia dei fedeli, rimanendo quindi storicamente stabile, ma bensì i santi, che traggono vita e nutrimento dalla Chiesa e che a loro volta contribuiscono a vivificarla. La Chiesa vive del sangue dei martiri e della fede dei santi, senza questi essa diventa agli occhi dei profani un'agenzia religiosa da normalizzare nell'ambito delle organizzazioni umanitarie o delle istituzioni politiche, militarmente irrilevante ('quante divisioni ha il Papa?' Chiedeva ironico Stalin) e moralmente discutibile per le colpe oscure di alcuni suoi ministri. Senza santità nella Chiesa i miracoli non avvengono più, nessuno più muore per amore di Cristo, la verità non viene più annunciata, la fede dei semplici si spegne e tutto si risolve nel confronto o nel compromesso con le ideologie del mondo, attorno a cui si raccolgono forse i buoni (?) ma sicuramente non i santi. "Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe" (Lc 10,2).
3- Davide SCarano • 9 ore fa
Condivido l'analisi di Mons. Luigi Negri ed azzardo delle ipotesi. Possibile che la riforma liturgica successiva al Concilio vaticano II, abbia contribuito a spostare la sensibilità e gli atteggiamenti dei fedeli? Da poco frequento la Messa celebrata con il rito latino -che ho avuto modo di conoscere solo a seguito della decisione di Benedetto XVI- ed ho osservato alcune significative differenze: nella preghiera per la consacrazione dell'Eucarestia si parla di Deus Sabaoth, cioè di "Signore degli eserciti", che invece è scomparso dai messali. Sappiamo che nell'antico testamento questo riferimento era assai frequente, anche a causa delle persecuzioni politiche e religiose subite dal popolo ebraico. Altra differenza: nell'antico rito non vi è lo scambio del segno della pace. Forse queste modifiche furono spinte anche dal recente ricordo di quella carneficina che fu la II Guerra mondiale, però: a) Cristo ha detto: "Io sono la via, verità e la vita", quindi qualcosa di più grande della pace b) se guerre vi sono sempre state credo che non sia sufficiente invocare l'assenza della stessa per evitarle, ma occorra chiedere a chi, per il credente, è origine e fonte di ogni cosa, cioè quel Mistero che è Cristo e SS. Trinità.
4- maurizio guerrini • 11 ore fa
Questo è il parlare chiaro, netto come il taglio di una spada secondo la Rivelazione. "Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!" (Matteo 10,34).
Parlare secondo il mondo è invece ignorare (ateismo pacifista) o confondere (leghismo-nazionalismo) quella spada con quella dei crociati, santissimi nella loro purezza d'animo anche se infedeli al V comandamento. E vedo tutt'altro che santità nella motivazioni di chi sogna il respingimento pur selettivo dei disperati, ma resta cieco e impotente di fronte alle cause che li spingono da noi.