Francobolli di Storia La storia delle monete dell’Islam e quel versetto del Corano che guida la comunità

La storia delle monete dell’Islam e quel versetto del Corano che guida la comunità

Riccardo Nencini — 20 Agosto 2023 ilriformista.it lettura2’

A partire dal 622 d.c., la storia vira di colpo. Il profeta e i suoi seguaci si trasferiscono dalla Mecca a Medina e, subito dopo, ha inizio la conquista araba dell’intero bacino del Mediterraneo, dal Medio Oriente alla Spagna, dalla Siria al sud Italia. L’Islam si diffonde a macchia d’olio, in pochi anni si estende fino a occupare uno spazio geografico che il cristianesimo aveva evangelizzato in più secoli. La capitale dell’impero è Damasco: ricca, al centro di traffici imponenti, nonostante tutto una metropoli ancora cristiana. Moneta compresa. Le monete bizantine, infatti, che reggono gli scambi, riportano ancora l’effige di imperatori cristiani. Fino a quando, a dimostrare la stabilità del nuovo regime, viene adottato un diverso sistema monetario.

Tra il 696 e il 697 d.c., il califfo Malik fa coniare proprio a Damasco due monete d’oro, piccole, la dimensione di un centesimo, su una fa imprimere la sua immagine, l’altra è vuota di immagini, solo segni.

Si tratta della più antica rappresentazione di un musulmano arrivata fino a noi, non per caso attraverso una moneta aurea. Malik aveva capito che la forza dell’impero dipendeva dalla sua stabilità economica e, siccome la moneta passava di mano in mano toccando tutti i ceti sociali, il capo che vi era rappresentato poteva essere conosciuto dal suo popolo godendo così di un rafforzamento della sua autorità.

A questa prima considerazione se ne aggiunge una seconda. Appena coniata, la moneta scomparve. Fu sostituita da un’altra moneta in cui all’immagine del califfo subentrava una scritta, semplicemente una scritta. Mandare a memoria: da allora nessuna immagine umana verrà più rappresentata dall’arte islamica in luogo pubblico, una tradizione lunga mille anni.

Terza considerazione: la scritta che appare sulla moneta è un versetto del Corano: ‘Non c’è Dio tranne Dio solo…Maometto è il messaggero di Dio…’ Sul rovescio: ‘Dio è uno, Dio è eterno. Egli non genera né viene generato’.

Il significato è cristallino: non è il califfo, non è l’imperatore il potere che unifica e domina la società. È Dio, la parola di Dio.

Lo stato islamico sopravvive proprio grazie a quella parola trascinata da una lingua che, prima di Maometto, non esisteva come lingua scritta.

Inutile girarci intorno. Ancora oggi è vivo il desiderio di una comunità islamica guidata dalla sola parola di Dio, unificata prima ancora che da ragioni etniche o nazionali dalla religione.

Riccardo Nencini

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