Malintesi papali. Un convegno su Dostoevskij in meno non vale una guerra di sterminio

Se non nascondessero un’immane tragedia, le continue geremiadi sul rischio di cancellazione culturale della Russia farebbero sorridere,
5.9.2023 Francesco Cundari, lnkiesta.it lettura3’

come quel personaggio di Johnny Stecchino secondo il quale il cancro che divorava la Sicilia, e contro cui i cittadini avrebbero dovuto ribellarsi, era il traffico

Papa Francesco ieri è tornato sulle sue parole riguardo alla grande eredità di Pietro il Grande e Caterina II di cui i giovani russi avrebbero dovuto essere orgogliosi. Parole che avevano suscitato indignazione in Ucraina e sconcerto sulla stampa internazionale. Per chi le avesse dimenticate, le affermazioni erano state queste: «Non vi dimenticate della vostra identità. Voi siete eredi della grande Russia, la grande Russia dei santi, dei re, la grande Russia di Pietro il Grande, di Caterina II, quell’impero russo grande e colto, di tanta cultura, di tanta umanità, non vi liberate mai di questa eredità, siete gli eredi della grande madre Russia, andate avanti e grazie per il vostro modo di essere e per il vostro essere russi».

Nel momento in cui il regime russo non fa altro che ripetere quegli stessi concetti, rifacendosi a quelle stesse figure storiche e utilizzando quelle stesse espressioni come base di legittimazione della sua politica di aggressione imperialista, non è difficile comprendere lo stupore di tanti osservatori, in Ucraina e nel resto del mondo civile. Di sicuro ai giovani russi non manca oggi chi ricordi il valore della loro identità e i fasti dell’impero.

Sta di fatto che ieri papa Francesco è tornato sull’argomento, osservando che la cultura russa «non va cancellata per problemi politici», per poi spiegare che il suo invito a raccogliere l’eredità del passato è sempre lo stesso («con questa visione io cerco di fare il dialogo tra nonni e nipoti»), che il «secondo passo» di questo discorso era «l’idea della “Grande Russia”, perché l’eredità russa è molto buona, è molto bella», e infine, «il terzo, forse non è stato felice, ma parlando della Grande Russia in senso forse non tanto geografico, ma culturale, mi è venuto in mente quello che ci hanno insegnato nella scuola: Pietro I, Caterina II. Ed è venuto questo terzo [elemento, ndr], che forse non è proprio giusto. Non so. Che gli storici ci dicano. Ma è stata un’aggiunta che mi è venuta in mente perché l’avevo studiato a scuola».

Personalmente, in questo caso, sono d’accordo con il papa: non è stato felice, e tanto meno giusto. Non solo perché non è il primo, né il secondo e nemmeno il terzo malinteso del genere, se vogliamo chiamarli così. Ma anche perché persino questo nuovo intervento parzialmente autocritico contribuisce, certo involontariamente, ad alimentare una piega semplicemente grottesca del nostro dibattito pubblico, in cui continuamente ci tocca ascoltare vibranti appelli e indignate invettive contro la cancel culture di cui sarebbe vittima la Russia, per via di una manciata di concerti, conferenze e convegni annullati, nel momento in cui proprio la Russia è quotidianamente impegnata a cancellare dalla faccia della terra non solo la lingua e la cultura ucraine, ma buona parte degli ucraini stessi, arrivando persino a deportare in Russia migliaia di bambini.

Se non nascondessero un’immane tragedia, le continue geremiadi sul rischio di cancellazione culturale della Russia farebbero sorridere, come quel personaggio di Johnny Stecchino secondo il quale il cancro che divorava la Sicilia, e contro cui i cittadini avrebbero dovuto ribellarsi, era il traffico. Siccome quell’immane tragedia è in pieno corso e sotto gli occhi di tutti – quella sì davvero incancellabile, nonostante tanti sforzi per intorbidare le acque, mescolare le carte, confondere vittime e carnefici – simili discorsi non fanno ridere e non fanno nemmeno sorridere.

Non c’è alcun motivo al mondo per non continuare a studiare Dostoevskij, e infatti nessuno ha smesso di farlo, ma certo un convegno su Dostoevskij in meno non vale una guerra di sterminio. Mentre gli aspiranti eredi di Pietro e Caterina bombardano le città ucraine, commuoversi per il venir meno di un concerto o di un convegno letterario denota una singolare deformazione nella propria scala delle priorità e dei valori.

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