Nell’atletica dei campanili manca un sogno
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Treviso Marathon, senza “Treviso”, non è più “Marathon”. A volte bisognerebbe avere il coraggio: di dire basta, di non vivere di ricordi
di ROBERTO BORIN, La Tribun04 settembre 2015a
Diciamolo subito, a scanso di equivoci: Treviso Marathon, senza “Treviso”, non è più “Marathon”. A volte bisognerebbe avere il coraggio: di dire basta, di non vivere di ricordi, di non accontentarsi di farlo alla giornata. Qui manca un sogno, più che un progetto. Staccare Conegliano e il suo hinterland dal resto della provincia, non è solo un’incisione lunga 42 chilometri nel cuore di ogni appassionato, ma anche la rinuncia a una prospettiva. Un assecondare la spinta della disaggregazione. Quella che ha fatto la Marca la terra dei mille campanili sportivi, delle maratone e delle mezza maratone concorrenziali a pochi chilometri di distanza, delle non competitive che più competitive non si può (vietiamo i premi in denaro alle strapaesane, please), delle decine di società di atletica-fantasma (di loro non si sa nulla, neanche il nome dei loro presidenti). Ci mancava solo la Treviso, pardòn, Conegliano-Marathon, ora. Il tutto mentre a Treviso, fortunatamente, sta per nascere, grazie alla Fidal provinciale, Atletica Trevigiana, una sorta di nazionale della Marca che raccoglierà i migliori talenti della nostra terra, ora costretti a disperdere in mille rivoli la loro grande potenzialità. Una compagine, una società, in grado di collocarsi tra le prime dieci in Italia. “Qui mancano i soldi,” obietteranno gli organizzatori. Vero. Ma forse ci si doveva pensare in tempi di vacche grasse. Senza aspettare che una manifestazione di tale blasone (cresciuta a
tal punto proprio grazie a questi stessi organizzatori, va detto) si facesse superare, in termini di iscrizioni, persino da certe corse paesane.
Aggregare, questo doveva essere l’impegno, e non farsi travolgere dalla forza centripeta degli egoismi. E casomai, dire basta.
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