"Le stupidarie del centrodestra": Belpietro spiega il suicidio perfetto

Perché la posta in gioco non è Roma. È Silvio.

Libero, 18.3.2016 di Maurizio Belpietro  (immagini Vincino da il Foglio)

A Roma il centrodestra ha deciso di non fare le primarie ma le stupidarie, un gioco a ostacoli in cui vince chi la spara più grossa. La scelta di correre alle elezioni per il sindaco della Capitale con quattro candidati, anzi forse cinque perché a quelli già noti ora si aggiungerebbe perfino il sindaco di Verona Flavio Tosi, non si spiega altrimenti. Pensare di intercettare i voti di una sola area politica, quella moderata, mettendo in campo non un nome, ma mezza squadra di calcio, è certamente frutto di un improvviso attacco di fesseria. Lo sanno anche i tonti che per vincere si devono concentrare le forze e non disperderle. Ma nonostante ciò, a destra si è scelto di correre l’uno contro l’altro. Mentre prima si lavorava tutti per uno, oggi ognuno lavora per se stesso nella speranza di perdere l’uno meno dell’altro.

Come si sia arrivati a tale disastro non è dato sapere. In principio la scelta del centrodestra oscillava fra la candidatura di Giorgia Meloni e quella di Alfio Marchini, la prima però si rese indisponibile causa gravidanza annunciata il giorno del family day, mentre la seconda fu affossata dalla stessa Meloni che considerava improponibile che i suoi elettori ex missini digerissero un ex editore dell’Unità. Risultato, dopo lungo pensamento Silvio Berlusconi tirò fuori il coniglio dal cappello, ossia Guido Bertolaso, un signore con qualche procedimento giudiziario aperto ma con molta esperienza nella gestione dei disastri, competenza ritenuta indispensabile per poter gestire la Capitale. Non si può dire che al leader della Lega il nome abbia strappato grida di entusiasmo: fin dal principio Salvini cercò di mettere i bastoni fra le ruote, ma alla fine, preso atto anche del via libera di Giorgia Meloni, capitolò. Così l’ex capo della Protezione civile venne incoronato alfiere del centrodestra per la battaglia della città eterna. Ma neanche un secondo dopo aver ricevuto l’investitura, per Bertolaso sono cominciati i guai. Causa alcune dichiarazioni improvvide dell’ex sottosegretario alle emergenze, il numero uno del Carroccio lo ha scaricato. Prima ha organizzato le gazebarie, una consultazione fra potenziali elettori per trovare il candidato più amato dai romani, poi ha premuto sul Cavaliere affinché cambiasse cavallo e mollasse l’uomo di pronto intervento al proprio destino. Berlusconi per tutta risposta ha schierato i suoi gazebi, dai quali è uscito un risultato bulgaro per l’ex capo della Protezione civile: 96,7 per cento, un plebiscito che Kim Jong Un si sogna. Caso chiuso? Neanche a parlarne.

Sbaraccati i gazebi, è ripartita la rumba, che alla fine si è conclusa con la discesa in campo di Giorgia Meloni contro Bertolaso e Berlusconi, con annesse polemiche sulle mamme: può una puerpera fare il sindaco? Avrà tempo, si stancherà, ma soprattutto come farà a districarsi in Campidoglio fra pannolini e biberon? Dibattito interessante, in cui si sono inserite anche le femministe e se esistesse ancora direbbe la sua pure il ministro delle pari opportunità. Discussione che però è del tutto inutile, in quanto stante l’attuale situazione, ovvero presentandosi in quattro o cinque per il centrodestra, nessuno dei candidati ha alcuna chance di sedersi sulla poltrona di primo cittadino di Roma. Al massimo Giorgia Meloni e Guido Bertolaso corrono per il terzo posto o forse addirittura per il quarto, perché nella Capitale oltre ad essere scavalcati da Virgina Raggi (Cinque Stelle) e Roberto Giachetti (Pd) c’è il rischio di vedersi passare avanti anche Alfio Marchini, che in solitaria fa la sua corsa nella stessa area in cui si sfidano l’ex ministro della gioventù e l’ex sottosegretario.

Vi state chiedendo perché il centrodestra abbia optato per le suicidarie? La risposta è semplice e spero non sia giudicata sessista (ormai il politicamente corretto impera e chi non si adegua passa nel migliore nei casi per maschilista, nel peggiore per razzista): i partiti dell’area cosiddetta moderata giocano a chi ce l’ha più lungo. La sfida non ha come palio il Campidoglio, ma il camposanto per la leadership di Berlusconi. Salvini e Meloni vogliono ottenere nella Capitale un voto più di Silvio per poter sotterrare il principio che a guidare la coalizione debba essere il Cavaliere. Del resto, per rendersi conto di quale sia l’obiettivo bastava leggere le frasi che ieri Giorgia Meloni ha consegnato a La Repubblica: «Oggi si chiude una pagina». Titolo virgolettato: «Scendo in campo per combatterlo». Non per vincere la sfida elettorale, per battere Silvio. «Quel che è certo è che il suo Bertolaso non diventerà mai primo cittadino di questa città». Più che alle elezioni, nel centrodestra pensano alla resa dei conti. E tanto per far capire che aria tira Salvini ha annunciato che la Lega non sosterrà il candidato di Forza Italia a Torino. Perché la posta in gioco non è Roma. È Silvio.

di Maurizio Belpietro

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