I partiti sono ridotti a larve ma non vogliono cambiare
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Per mezzo secolo l'Italia è stata una repubblica fondata sui partiti e sui sindacati. Associazioni prive di reali controlli, facevano tutto ciò che volevano
di Gianfranco Morra Italia Oggi, 21.11.2015
Per mezzo secolo l'Italia è stata una repubblica fondata sui partiti e sui sindacati. Associazioni prive di reali controlli, facevano tutto ciò che volevano. Nella seconda repubblica hanno perso molto: iscritti, credibilità, consenso. Non è la loro crisi, inevitabile in un'epoca postmoderna, che preoccupa. È la coriacea collerica monomaniaca volontà di non trasformarsi. Come vecchi reduci, camminano fianco a fianco sul viale del tramonto. Mostrano i muscoli, ma hanno solo artriti. La fiducia dei cittadini decresce ogni anno, anche se il loro potere aumenta.
Peccato. La democrazia ha bisogno dei partiti. Se capiranno che devono trasformarsi e rinnovarsi: più ragionevolezza e meno ideologie, meno privilegi e più servizio, più socialità e meno burocrazia, meno gusci da ostrica o aculei da ricci. Invece: Berlusconi è un vecchio che porta a spasso il cagnolino, Bersani un combattente pensionato che resta perché non sa dove andare. Le nuove formazioni sono partiti del leader, sacralizzati dalla icona del capo: Grillo, Salvini, Renzi (e, ahimè, in panchina Passera e Della Valle).
Si dirà che è sempre accaduto, secondo quella che il socialista Robert Michels chiamava la legge di ferro della oligarchia: «L'organizzazione è, di per se stessa, la causa del predominio degli eletti sugli elettori, dei mandatari sui mandanti, dei delegati sui deleganti; la democrazia non fa eccezione, diviene anch'essa oligarchia» (La sociologia del partito politico, 1911). Ma prima il leader cresceva e si imponeva nel partito, del quale incarnava le idee e le tecniche. Era un dittatore che lo rappresentava, mentre oggi è il partito che lo rappresenta.
Come è chiaro dai principali competitori. Essi mirano a creare un «partito della nazione», che in realtà è del leader. Meglio non chiamarlo «partito», un nomen nefandum, che va taciuto e sostituito con espressioni più generiche e indefinite (movimento, lega, forza, centro, alleanza, unione). Grillo ha creato sull'ali dorate dell'etere un non-partito, con un non-statuto, ripropone la democrazia diretta, appunto senza partiti; Salvini ha trasformato la Lega da movimento federalista in contenitore nazionale degli scontenti della vecchia destra.
Solo Renzi si è trovato il nome: Pd, forse l'unica formazione che ancora detiene non poco nella organizzazione e nella presenza sul territorio del vecchio partito. Ma è riuscito a rottamarlo e a subordinarlo alla sua figura: convincente brochanteur raccoglie dovunque vecchi pezzi di modernariato, tenuti insieme dalla sua abilità e dal suo entusiasmo. Tanto che, per ora, molti hanno tentato di sloggiarlo, ma nessuno c'è riuscito.
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