Le primarie sono superate: furono inventate per far fuori i pci asserragliati dentro il Pds
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La politica italiana, e i commentatori della politica italiana, sono abituati, da sempre, a nascondersi la verità dei fatti
di Pierluigi Magnaschi, Italia Oggi 4.11.2015
La politica italiana, e i commentatori della politica italiana, sono abituati, da sempre, a nascondersi la verità dei fatti e a procedere, nelle loro attività o nelle loro analisi, camminando prudentemente sulle uova, cercando solo di non fare frittate ritenute inopportune. Così è successo anche nel caso delle primarie. Uno strumento elettorale interno a un partito che fu subito considerato come la modalità elettorale più idonea al fine di selezionare la classe dirigente del partito. Pratica, questa, che, fino a prima che le primarie fossero adottate, era affidata agli iscritti al partito.
Già la definizione di primarie come l'abbiamo poc'anzi indicata (e cioè come strumento elettorale interno a un partito) è esatta ma anche decisamente fuorviante. Infatti, alle primarie del Pd, votavano tutti coloro che avevano voglia di farlo e che erano disposti a versare un obolo di pochi euro. Hanno quindi votato anche elettori che non solo non avevano mai votato Pds in precedenza, ma anche non avevano assolutamente voglia di farlo successivamente. Questi elettori quindi, in sostanza, si comportavano come delle autentiche quinte colonne, essendo interessati, con la loro partecipazione, non a rafforzare il Pds (che non era il loro partito; anzi, spesso, gli erano ostili) ma a indebolirlo con il voto che a loro era stato benignamente e incautamente concesso.
Chi ha voluto introdurre le primarie nel Pds (anche se non lo ammetterà nemmeno sotto tortura; ma fa lo stesso perché gli effetti di questa decisione si vedono a occhio nudo) voleva espugnare la cittadella del Pds che era saldamente presidiata dagli ex pci e dalla loro corte di sindacati, amministratori locali, ospedalieri, cooperatori. Una struttura, questa, già allora indebolita dal cambiamento dei tempi e delle mentalità (la fede politica non era più «cieca, pronta e assoluta» come ai tempi di Peppone) e che era stata messa in discussione anche dalla crisi economica (che riduceva le elargizioni pubbliche, specie in periferia, a sostegno e a pasturazione di un vasto ceto di fiancheggiatori). Ciononostante la struttura del Pds era ancora una struttura robusta e impermeabile, che era passata, senza fare un piega, attraverso le invasioni dei carri armati russi in Ungheria e Cecoslovacchia, e aveva metabolizzato, in men che non si dica, sia il rapporto Kruscev che il crollo del Muro di Berlino.
Per abbattere questa nomenklatura (o anche solo per introdursi in questa cittadella fortificata che, a mo' di dialetto domestico, usava ancora le parole d'ordine del settantennio precedente) ci voleva uno strumento straordinario. Le scale appoggiate sulle mura non bastavano certo. Per respingere coloro che volevano entrare nella cittadella del Pds in questo modo, al fine modificare le cose (e possibilmente prendere il potere, al posto della casta invecchiata che, impassibile ad ogni ricambio che non fossero i decessi, era inchiodata da troppo tempo sugli stessi scranni), le truppe assalitrici, dicevo, potevano essere respinte facilmente e a mani nude, senza nemmeno ricorrere ai lanci di pece fusa, come si faceva negli assalti del Medioevo.
Per espugnare il Pds dalla presa dei vecchi pci bisognava quindi inventare un cavallo di Troia. Fu trovato nelle primarie. E, come nella vecchia storia di Omero, anche in questo caso, questo oggetto misterioso (le primarie, appunto) venne accolto con grandi festeggiamenti e suscitò molte attese e speranze. Anche se non si riesce a capire su che cosa fossero riposte. Grazie alle primarie (questi sono i fatti, questa è la storia) il Pds venne facilmente espugnato dagli infedeli, che poi erano i cattolici di sinistra che, ai tempi in cui il Pci era in mano ai comunisti duri e puri, oltre che intelligenti, almeno sul piano della realpolitik, (e non parlo solo di Palmiro Togliatti) questi cattolici di sinistra venivano identificati, alle Botteghe Oscure, come «utili idioti», gente cioè che poteva essere usata e poi, dopo essere stata utilizzata, poteva essere messa da parte come se fosse un Kleenex usato, sia pure, spesso, con qualche vitalizio pubblico per indorare la pillola della brutale defenestrazione.
Dopo aver presentato le primarie come la fonte battesimale per risanare un partito pustoloso e impresentabile come gli altri, adesso è però molto difficile fare marcia indietro e dire che le primarie sono, in Italia, lo strumento non per migliorare la classe dirigente di un partito ma per disintegrare il partito stesso che, da liquido com'è stato costretto a diventare nella civiltà del talk show e delle chiacchiere politiche in stream, diventa evanescente. Nel senso che evapora.
Quando va bene, questo strumento (le primarie, appunto) anziché favorire la scelta degli uomini migliori che il Pd si è allevato nelle sue fila (e ce ne sono, ci marcerebbe) finisce per premiare, per la copertura di posti di alta responsabilità, degli estranei, quando non addirittura dei nemici del partito stesso. Le primarie in Puglia ad esempio, mandarono alla presidenza della Regione, con i voti del Pd, il segretario di un partito largamente minoritario nella sinistra come Vendola del Sel. Esse inoltre promossero a sindaco di Napoli (sempre con i voti del Pd) un nemico giurato del Pd stesso come Luigi de Magistris. Così avvenne con un altro Sel (Marco Doria) che divenne sindaco di Genova. O un altro Sel ancora (Giuliano Pisapia) che è il primo cittadino di Milano. Insomma, le primarie hanno annientato il Pd e lo hanno ridotto a donatore di sangue per gli altri. Stupisce che, di fronte a tante repliche negative, nel Pd ci siano ancora tanti estimatori di questo cavallo di Troia. Ma pur di far fuori Renzi i vecchi leader preferiscono fare harakiri.
Pierluigi Magnaschi
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