Il congresso permanente del Pd è in corso dall'8 dicembre 2013
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Dopo Pippo Civati, Stefano Fassina e Corradino Mineo, ecco che, con Alfredo D'Attorre, un altro rappresentante della sinistra dem sbatte idealmente la porta del Nazareno e se ne va. D'Attorredi Goffredo Pistelli Italia Oggi 5.11.2015
Dopo Pippo Civati, Stefano Fassina e Corradino Mineo, ecco che, con Alfredo D'Attorre, un altro rappresentante della sinistra dem sbatte idealmente la porta del Nazareno e se ne va. D'Attorre, classe 1973, da Melfi (Pz), è un colto esponente dalemiano di quell'area del partito che si definisce riformista pur costituendo una ridotta post Pci-Pds-Ds. Anche lui non ha lesinato critiche a Matteo Renzi, in quanto segretario del Pd, sulla vicenda romana e sul dimissionamento del sindaco Ignazio Marino. «La vicenda», ha detto «dimostra come è gestito il Pd, senza organi democratici che decidono e con un timore di affrontare sedi pubbliche di discussione, con decisioni assunte dal premier e segretario che devono essere eseguite da tutti nei diversi livelli».
Sul sindaco s'era pronunciato anche Pier Luigi Bersani, che della sinistra antirenziana è il leader riconosciuto: «Abbiamo avuto altre esperienze drammatiche in passato», ha commentato, «ma le abbiamo sempre risolte chiudendosi in una stanza, litigando, insultandoci, ma poi alla fine trovando una soluzione. Andava fatto così anche con Marino». E anche il più brillante dei suoi discepoli, Roberto Speranza, uno dei suoi portavoce alle primarie del 2012 contro Renzi, aveva a lungo chiesto di concedere al sindaco ribelle, «un'exit strategy». Alla sinistra del partito aveva cercato di appellarsi Marino, nella lunga fase post dimissionaria, culminata nel tentativo di rientro, ma gli antirenziani non erano andati al di là degli appelli al dialogo, ché le piroette del transplantologo erano parse forse eccessive pure a loro.
Abbandonato il sindaco al suo destino, però se ne utilizza ora la vicenda per riattaccare Renzi segretario, inaugurando un nuovo capitolo di questo eterno congresso che, dall'8 dicembre del 2013, quando il Rottamatore lo vinse, scuote regolarmente il Pd e l'esecutivo. Eppure quando c'è stato da abbattere un sindaco renziano sul campo, come è accaduto a Sesto Fiorentino (Fi), poco prima dell'estate, la sinistra piddina, che invoca la collegialità, non ha esitato un secondo. E non sembri ridicolo accostare la Capitale a un sobborgo di Firenze: l'imboscata di otto consiglieri dem a Sara Biagiotti fu un caso politico nazionale, perché a essere dimissionata fu una delle tre portavoci di Renzi nelle primarie perdute con Bersani, e su temi, come l'ampliamento dell'aeroporto di Firenze e la realizzazione dell'inceneritore che servirà il capoluogo, su cui l'attuale premier aveva puntato tutta la carriera politica in città. Nessun consigliere bersaniano si chiuse però in una stanza a discutere con la sindaca. E chissà se Bersani glielo chiese.
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