Il granitico equilibrio instabile nella scuole dei deportati gne gne
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L’assunto ha incassato il posto fisso senza mollare il luogo dove si era precariamente stabilito, ha guadagnato 12 mesi di tempo per vedere che succede nelle stanze del ministero dell’istruzione. Risultato: un disastro da copione prezzoliniano
di Mario Sechi | 15 Settembre 2015 ore 16:56
Gli assegni postdatati in Italia non si possono più emettere, ma le riforme sono da sempre leggi promulgate un po’ più in là. E’ una bella lezione quella che arriva dalla prima applicazione della Buona Scuola, proprio istruttiva, un caso scolastico, appunto, di azzeccagarbuglismo italico, non-sense istituzionale, furberia ministeriale e opportunismo sindacale.
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Espongo il fatto: gli insegnanti precari sono stati assunti a tempo indeterminato, il 97 per cento di loro ha accettato il ruolo proposto, poi hanno approfittato di una norma-ponte e hanno preso una supplenza e rinviato di un anno la loro assegnazione alla sede prevista. Mal di testa? Prendete l’aspirina e seguitemi. La riforma doveva servire a regolare i precari cronici, stabilizzare le cattedre e arginare il fenomeno delle supplenze a getto continuo. Il risultato è il seguente: l’assunto ha incassato il posto fisso senza mollare il luogo dove si era precariamente stabilito con granitico equilibrio instabile, ha guadagnato 12 mesi di tempo per vedere che succede nelle stanze del ministero dell’istruzione, le supplenze volanti si sono moltiplicate e gli studenti hanno perso l’occasione (e la certezza) di avere un’insegnante che li conduce mano a mano per tutto il ciclo di studi. Fenomenale, boys and girls. L’escamotage è stato sfruttato da sette docenti su dieci nuovi assunti. Il cataclisma dei trasferimenti, lo gne gne dei “deportati”, il trionfalismo del ministero, la “rivoluzione”? Ladies and gentleman, welcome on board, maddeche? L’anno prossimo, con calma, c’è tutto il tempo per prepararsi, mettere le cose a posto, organizzarsi a puntino, ottenere ancora una norma ad hoc, spuntare un cavillo, arzigogolare un paragrafo, cesellare un ricorso, scrivere un memorandum, aprire una trattativa sindacale, esporre i cartelli su una nuova stagione di “deportazione”, ottenere una cambiale in bianco, un pagherò, una promessa e poi, vedrete, che arriverà un’altra mobilità e l’immobilismo trionferà, funiculì funiculà.
D’altronde, parliamoci chiaro, nel paese del tengo famiglia, nella contea dove la moglie dell’illustrissimo presidente del Consiglio dice de core e con i lucciconi “speravo in un incarico a Firenze, già a Empoli sarei stata costretta a rinunciare per i miei figli. Le mamme sanno cosa vuol dire”, in quel luogo tutto è possibile. Perché, perbacco, una mamma lo sa (invece i padri, com’è noto, sono dei trogloditi insensibili) e nel regno del mammismo se piangeva il capitano pilota dell’Aeronautica Maurizio Cocciolone, figuriamoci gli altri che non sono mai precipitati nel deserto iracheno, ma tuoni e fulmini e saette, sono “deportati” da una regione all’altra di quella landa inospitale chiamata Italia. Gli emigrati del sud dispersi al nord, el nebiun e la casseula al posto della siesta e Torna a Surriento? Dai, tranquilli, il drammone è rinviato, tutto declina in inesorabile operetta, il paese è immobile per cementificazione rapida del posto statalizzato. E’ la messinscena di un copione prezzoliniano dove continua a raccontarsi un paese di furbi e fessi. E non chiedete a me una definizione dei fessi, perché già la diede quel genio del Prezzolini e non c’è alcun bisogno di aggiornarla perché anche la costruzione della nazione è rinviata, postdatata, fissata a data da destinarsi, sospesa come i trasferimenti dei docenti che furono precari e oggi sono fissi e non fessi perché “non c'è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia; non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente sulla magistratura, nella pubblica istruzione, ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all'agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. – questi è un fesso”. Viva l’Italia.
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