I sottomessi del Pd. Serracchiani e quella sinistra social confusa che non vuole
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emanciparsi dalla Repubblica del moralismo, forse questa volta non è neppure colpa sua
di Claudio Cerasa | 31 Luglio 2015 ore 06:29 Foglio
Forse questa volta non è neppure colpa sua ed è persino possibile che l’autorevolissima vicesegretario del Pd con delega al giacobinismo, al giustizialismo, all’ignaziomarinismo, allo tsiprasismo, al grillismo, al moralismo, al rodotaismo, sia stata costretta a intervenire nel dibattito pubblico su richiesta renziana: vai Deborina bella, su, facciamo che Lorenzo Guerini difende i nostri hari senatori che hanno votato contro l’arresto di Antonio Azzollini e che invece tu mi hopri a sinistra, mi hopri sul fronte grillino, e dici che questa decisione è stata una sciocchezza, una vergogna, una follia, un atto di cui non ci si può che vergognare. Sarà andata così, forse, e può darsi che sia nata così la decisione di Debora Serracchiani, governatore del Friuli Venezia Giulia, vicesegretario del Pd, di scomunicare moralmente i senatori che, orrore!, hanno votato contro una richiesta di arresto che somigliava più a un atto politico che a un atto giudiziario.
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L’occasione del goffo intervento di Serracchiani ci porta però a ragionare su un tema che va oltre il caso Azzollini e che riguarda l’identità stessa del Partito democratico, di quella che ci piacerebbe definire una “sinistra moderna”, che quando parla di giustizia, quando si confronta su questi temi, sente sempre la necessità non tanto di non avere nessun nemico a sinistra, quanto di avere il minor numero possibile di nemici sul fronte dell’orrendo moralismo da bar. Debora Serracchiani, che pure è una ragazza intelligente, rappresenta questo nel mondo del Pd. E rappresenta un mondo che Renzi stesso sa essere incompatibile con il pensiero di una sinistra moderna ma che per questioni di politicamente correttissimo non si può ignorare, signora mia, perché alcuni elettori non capirebbero e vuoi mettere poi dover spiegare agli editorialisti di Repubblica che il Pd di oggi, quello che sostiene Repubblica, è un Pd che, nel suo intimo, a poco a poco, sta diventando garantista, non sopporta la magistratura militante, odia le supplenze delle procure e non riesce ad accettare che ci siano giudici che provano a inchiodare un politico non tanto per i suoi atti illeciti quanto per i suoi atti politici. Il Pd oggi è su questa strada, ma riesce a essere così – garantista, anti giustizialista, anti moralista – solo quando i microfoni sono spenti, quando le telecamere non inquadrano, quando i taccuini sono chiusi e quando il voto, in Parlamento, diventa segreto. Gli sciocchi che sognano e promuovono un mondo in cui i parlamentari devono rinunciare a fare politica in nome di una necessaria soumission al potere della magistratura politicizzata sognano evidentemente un universo in cui il posto giusto della politica deve essere necessariamente subalterno al potere giudiziario – e in cui, dunque, giudici e magistrati non possono che essere considerati dai politici e dai parlamentari come degli ayatollah infallibili che offrono al pianeta delle lezioni che non riguardano solo il diritto o il codice penale ma arrivano direttamente a indicare la giusta condotta morale di tutti noi.
E’ un mondo che esiste, questo, è un mondo che è stato alimentato da anni dalla cultura moralista a vocazione Palasharp che si è sviluppata allegramente anche sulle pagine di Repubblica, giornale che non a caso considera da tempo Debora Serracchiani la versione italiana di Winston Churchill, ed è un mondo, questo, dove il tasso di moralismo è inversamente proporzionale al tasso di riformismo. E dove in fondo le Serrachianos pensano che sia giusto che un sindaco che promette di rimettere a posto la sua città sceglie, come primo atto simbolico della sua nuova esperienza politica, di farsi inquadrare seduto in Campidoglio a fianco del Grande Moralizzatore, Raffaele Cantone. Su casi come quello di Azzollini la libertà di coscienza ci sta. E in fondo dire “fate quello che credete” è un passo in avanti importante rispetto ai tempi recenti in cui i parlamentari hanno delegato ai magistrati persino la scelta della composizione delle liste elettorali (do you know Severino law?). Ma una volta registrato l’esito finale del voto parlamentare sarebbe stato compito della segreteria del Pd, e di Renzi, essere coerente con la scelta coraggiosa di lasciare libertà di coscienza ai senatori. Ancora una volta, invece, non è successo. Ancora una volta, dunque, il Pd sui temi legati alla giustizia, allo stato di diritto, dimostra quanto è sottile, spesso impercettibile, il filo che separa una sinistra social riformista da una sinistra social confusa, schiava cioè dei propri follower. Una sinistra, quest’ultima, sintetizzata magnificamente dalla compagna Debora, che anche stavolta, con coerenza, ha dimostrato di essere la tessera numero uno della Repubblica del moralismo democratico.
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