Così Repubblica scopre, senza poterlo dire, la difficoltà di essere renziani
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Dal lavoro alla giustizia. Perché il quotidiano di Ezio Mauro è costretto ad affidare ai Felice Casson il compito di dare la linea ai lettori disorientati di Rep.
di Redazione | 31 Luglio 2015 ore 13:28 Foglio
Vorrei ma non posso, allora forse meglio che ne parli tu. Ogni volta che il Partito democratico mostra al pubblico la sua anima più garantista, meno manettara, meno moralista, a Repubblica i cronisti vanno nel panico, la direzione si sente spiazzata e periodicamente i lettori del quotidiano diretto da Ezio Mauro si chiedono, evidentemente, come sia compatibile il Pd versione salvataggio Azzollini con la Repubblica delle dieci domande, degli appelli di Saviano, delle intercettazioni a strascico, della teoria, nota, che ciò che dice un pm non è sentenziabile, non è interpretabile, non è criticabile ma, grosso modo, coincide con ciò che dice il vangelo. Si capisce, dunque, che di fronte a un partito guidato da un leader piuttosto coccolato da Rep. non ci si capaciti di come sia possibile che questo partito osi mandare a quel paese una procura, dando la possibilità ai suoi senatori di rivendicare la scelta, e che per questo oggi gli amici di Largo Fochetti siano nelle stesse condizioni in cui si ritrovarono quando dovettero commentare la riforma del lavoro: appoggiare un leader di sinistra che fa cose che un tempo faceva la destra.
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In quell’occasione, Rep. scelse di non esprimere in modo chiaro la sua opinione, e da mesi aspettiamo un editoriale di Ezio Mauro che dica: “Che bello hanno abolito l’articolo 18”; oppure: “Che schifo hanno abolito l’articolo 18”, e invece ancora nulla. Allo stesso modo, oggi, il partito della pesca a strascico di Rep. sceglie di affidare la sua opinione sul tema offrendo la parola a Felice Casson, che interrogato da Liana Milella dice, con sobrietà: “Azzollini salvato perché la casta è infastidita dai pm”. Il punto è sempre quello: Repubblica si rende conto che una sinistra moderna non può che essere una sinistra che rottama il giustizialismo, e che a volte fa cose che banalmente in Italia si chiamano di destra (non farsi dettare la linea dai giudici, non farsi dettare la linea dai sindacati); ma per non deludere i suoi lettori prova a raccontare, travestendosi da Fatto Quotidiano, che un altro mondo è ancora possibile e che il garantismo, signora mia, non la trionferà. Tutto chiaro e tutto lineare. E a questo punto non resta che prepararsi a leggere nei prossimi giorni una bella intervista alla tessera numero uno della Repubblica del moralismo: la compagna Debora Serracchiani. Nel frattempo, la nostra piena e totale solidarietà a Repubblica, costretta a dover fare i conti con il proprio beniamino che giorno dopo giorno fa diventare patrimonio della sinistra ciò che Repubblica aveva raccontato essere da sempre patrimonio della destra becera e cialtrona.
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