E MENO MALE CHE LA CRISI GRECA NON CI TOCCA! DOPO IL REFERENDUM, IL COSTO DEI NOSTRI MUTUI
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È GIA’ SALITO - PER UN PRESTITO DI 50 MILA EURO SI ARRIVA A PAGARE 1500 EURO IN PIÙ….
Alberto Busacca per “Libero Quotidiano” 9.7.2015
Domenica 5 luglio la maggioranza dei greci ha votato no, come chiesto da Tsipras e Varoufakis. Ad Atene molti hanno festeggiato. E molti hanno festeggiato pure in Italia. Pensando al nostro mutuo, però, i motivi per stappare lo champagne sono pochi…
IN GRECIA IERI LA SCELTA NON È STATA FRA DESTRA E SINISTRA
ABBANDONARE IL PERCORSO DI INTEGRAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA NON PUÒ ESSERE CONSIDERATO UN OBIETTIVO “PROGRESSISTA”
1-Secondo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 352, 6 luglio 2015. Pietro Ichino, PD
Dunque, due greci su tre hanno scelto il “No”. Un successo dei lavoratori e dei consumatori greci ridotti alla fame contro i ricchi imprenditori e commercianti? O due terzi dei greci sono diventati improvvisamente di sinistra, come sembrano pensare Grillo, Vendola e Fassina? Non sembra proprio che le cose siano andate così. Hanno votato “No” anche i nazionalisti di estrema destra, e in generale tutti i greci convinti che respingendo la pretesa dei creditori di essere pagati si difende la sovranità nazionale. Così come, viceversa, hanno votato “Sì” molti orientati a sinistra ma consapevoli che non si può fare gli anticapitalisti o i keynesiani con i soldi degli altri. Più in generale hanno votato “Sì” i greci, di destra o di sinistra, capaci di mettersi nei panni dei contribuenti tedeschi, olandesi o finlandesi, i quali non possono essere contenti di pagare di tasca propria per coprire i buchi causati dall’enorme tasso di evasione ellenico e da un’amministrazione pubblica ipertrofica e costosissima. La scelta compiuta ieri dai greci non è né “di destra” né “di sinistra”: è solo la scelta di abbandonare il percorso faticoso e accidentato dell’integrazione nell’Unione Europea, che comporta anche l’allineamento – almeno tendenziale – del funzionamento della cosa pubblica rispetto ad alcuni standard stabiliti insieme. Se nelle prossime settimane, mesi e anni la parte più povera del Paese non trarrà alcun giovamento dalla scelta compiuta ieri di abbandonare quel percorso, anzi si troverà a dover sperare negli aiuti umanitari da parte degli ex-creditori, sarà molto difficile sostenere che quella sia stata davvero una scelta “di sinistra”.
2.Pietro Ichino.PUÒ FAR I KEYNESIANI COI SOLDI DEGLI ALTRI
L’AUT AUT DEL REFERENDUM ELLENICO AIUTA A CHIARIRE ANCHE I TERMINI DELLA QUESTIONE FONDAMENTALE DELLA POLITICA NOSTRANA
Primo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 352, 4 luglio 2015 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 15 giugno, Grecia: anche il debitore sia ragionevole.i
Il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano, d’accordo su questo punto con l’ex-Viceministro dell’Economia Stefano Fassina, si dichiara contrario alle leggi Fornero del dicembre 2011 e giugno 2012 e alla riforma del lavoro del 2015; favorevole, invece, a quelle che qualifica come “politiche keynesiane” praticate dal Governatore della BCE, e in particolare con la misura del Quantitative Easing, che inonda l’Europa di liquidità. Né l’uno né l’altro sembrano rendersi conto che Mario Draghi non avrebbe mai potuto impegnare la BCE – cioè il denaro di tutti gli europei – nelle misure espansive che stanno dando ossigeno alla nostra economia, se gli italiani non avessero avviato in modo credibile un progressivo allineamento dei propri conti pubblici e del proprio sistema di welfare con quelli degli altri Paesi più virtuosi. In altre parole: senza le leggi Fornero e il Jobs Act oggi non potrebbe esserci il Quantitative Easing di Draghi. L’errore dei Damiano e dei Fassina è lo stesso di Alexis Tsipras: anche il Governo di Atene vorrebbe una Unione Europea che facesse solo politiche espansive, con i soldi dei tedeschi, degli olandesi e dei finlandesi (i quali pagano le tasse, vanno in pensione dopo i 65 anni e cercano di ridurre la spesa pubblica), consentendo ai greci di continuare a non pagare le tasse, ad andare in pensione a 58 anni, a mantenere una amministrazione pubblica tanto mastodontica quanto improduttiva. Non si può fare i keynesiani – e tanto meno gli spendaccioni – con i soldi degli altri.