La grecizzazione delle élite italiane “Né con Atene, né con Berlino”, dice il Sole 24 Ore. Tutto si spiega
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Lo firmava Luca Ricolfi, lucido analista e informato bastian contrario. Solitamente, almeno. Eppure essere “terzisti – va un po’ oltre il sostenere un’opinione legittima come tutte le altre.
di Redazione | 09 Luglio 2015 ore 06:10 Foglio
"Né con questa Grecia, né con questa Europa”, si intitolava ieri l’editoriale sulla prima pagina del Sole 24 Ore, il quotidiano della Confindustria. Lo firmava Luca Ricolfi, lucido analista e informato bastian contrario. Solitamente, almeno. Ancora la scorsa settimana, per esempio, aveva sostenuto con numeri e fatti la tesi secondo cui la tanto vituperata austerity non può essere additata come la ragione dei mali greci. Non foss’altro perché c’è un manipolo di paesi che il rigore fiscale e le riforme le ha praticate in dosi generose, e oggi è tornato a crescere (vedi Irlanda, Portogallo, Spagna, per esempio). Si parva licet, lo avevamo scritto su queste colonne più e più volte. Ieri, però, sul quotidiano che dovrebbe essere espressione della classe produttiva italiana, è tornato di moda il nefasto “né-né” di antica memoria.
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Eppure essere “terzisti”, quando si tratta di interpretare cosa sta accadendo oggi in Europa, con un leader politico che gioca a fare l’anticapitalista con i capitali degli altri (Alexis Tsipras) e un’altra leader che tenta di far rispettare quelle regole che sole possono reggere un’unione di stati senza autorità politica comune (Angela Merkel), essere “terzisti” su questo tema – dicevamo – va un po’ oltre il sostenere un’opinione legittima come tutte le altre. Occorrerebbe piuttosto avere il coraggio di dire che la Grecia, negli ultimi anni, è diventata un caso unico: quello di uno stato europeo che ha rifiutato la modernizzazione, come dice Francesco Giavazzi, che ha sì compiuto sforzi riformatori (specialmente con il bistrattato premier Antonis Samaras) ma sempre tenendo il freno a mano tirato, mai rigettando fino in fondo quel “bipartitismo populista” che ha caratterizzato tanta parte della sua storia contemporanea dopo la caduta dei colonnelli. Ristabilito questo minimo sindacale di verità sulle vicende degli ultimi mesi, soltanto dopo aver fatto ciò, ci si potrà dividere – legittimamente, appunto – sul da farsi. Noi pensiamo che l’uscita per Atene è da quella parte, grazie. E poi si potrà pure discutere con onestà intellettuale delle storture e delle inflessibilità di un’area valutaria ben poco ottimale. Ma tenendo a mente che tutti gli esponenti dell’establishment italiano che predicano equidistanza tra Tsipras e Merkel, invece, imbrogliano un po’. (Anche quando scrivono, come ha fatto domenica il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, che con una “cura da cavallo di Eurobond” tutto andrà meglio; perché perfino la Banca centrale greca, nel suo ultimo paper pubblicato, sostiene che il debito in comune non avrebbe consentito ad Atene di evitare l’austerity!). Con un ceto intellettuale e produttivo di cotanta stoffa, viene da chiedersi a volte a cosa serva ancora la nostra brigata Kalimera. Sarà bene tenerlo a mente per le prossime sfide riformatrici che dovrà sostenere questo nostro paese.
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