Tre mosse di Renzi per resistere all’assedio delle procure anticipando le elezioni
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Un po’ per il clima. Un po’ per i numeri in Parlamento. Un po’ per l’assedio giudiziario. Un po’ per l’incapacità di mettere un muro tra l’invasività delle procure e l’autonomia della politica.
di Claudio Cerasa | 14 Giugno 2015 ore 11:30
Un po’ per il clima. Un po’ per i numeri in Parlamento. Un po’ per l’assedio giudiziario. Un po’ per l’incapacità di mettere un muro tra l’invasività delle procure e l’autonomia della politica. Un po’ per tutto questo e un po’ per molto altro, chi conosce bene gli ambienti di Palazzo Chigi sa e riconosce che per la prima volta dall’inizio dell’esperienza di governo la truppa Renzi non crede più che questa legislatura possa davvero concludersi serenamente nel 2018.
E per questo, per avere una griglia utile per orientarsi nei prossimi mesi, bisogna raccontare la verità e bisogna evitare di girarci attorno. C’è un piano, e il piano è quello di mettere insieme tre tasselli per arrivare a votare alla fine del prossimo anno. Non si tratta di uno scenario ma si tratta di un percorso politico in cui Renzi sa che dal momento in cui è venuta a mancare la sponda con Forza Italia, utile a governare il processo di riforma costituzionale, ci potranno essere tutte le stampelle del mondo per sostenere questo governo ma alla fine tanto lontano non si potrà andare.
E allora eccolo come si articola il piano 2016 di Renzi. Il primo passo è quello di ricompattare il partito e tornare a utilizzare il “metodo Mattarella” approvando nel giro di pochi mesi, ovvero entro l’anno, una legge che possa far scorrere una buona dose di ossigeno nei polmoni della sinistra: le unioni civili. Una volta messa a punto la legge, il passo successivo sarà quello di tornare a occuparsi di riforma costituzionale e per capire i tempi della durata della legislatura bisogna osservare come una bussola i tempi dell’approvazione della riforma. Il testo del disegno di legge deve essere ancora approvato in seconda lettura al Senato e una volta ottenuto il nuovo bollino di Palazzo Madama dovrà essere approvato in terza lettura dai due rami del Parlamento. Se ci saranno modifiche al testo originario (per l’approvazione è sufficiente la maggioranza semplice) l’iter si allungherà ma entro la prossima primavera la legge sarà pronta. E una volta ottenuta la legge, il timer per la fine della legislatura comincerà a segnare non più i minuti ma i secondi.
L’idea di Renzi è quella di misurare il consenso della riforma con un referendum e poi una volta ottenuto il vaglio alla riforma costituzionale arrivare alla fine dell’anno, scavallare la data in cui verrà meno la clausola di salvaguardia prevista per l’Italicum (luglio 2016), e dopo di che andare alle elezioni per evitare che il centrodestra possa riorganizzarsi – e sapendo di avere la fortuna di poter ancora beneficiare dell’ombrello dell’acquisto di titoli di stato della Bce che durerà almeno fino al settembre 2016.
Il senso del piano è evidente ed è quello di anticipare i tempi per poter raccogliere il frutto di una ripresa economica che alla fine di quest’anno dovrebbe essere più alta delle previsioni (il def stima 0,6, Palazzo Chigi, secondo alcuni calcoli non pubblici, stima l’1,2) e per far sì che gli avversari in campo non abbiano ancora avuto il tempo di preparare un’alternativa solida e credibile al renzismo (Berlusconi non a caso spera giustamente che la legislatura possa arrivare fino alla sua fine naturale ed è per questo che Forza Italia farà di tutto per tornare ad avere un profilo di governo anche per attrarre sotto il suo mantello sbrindellato il maggior numero possibile di senatori del nuovo centrodestra).
Nel piano di Renzi, così come lo abbiamo appreso, un altro passaggio fondamentale, oltre alle unioni civili, sarà anche lanciare un messaggio di lotta alla corruzione con la prossima delega fiscale. E va letta poi anche in chiave pre elettorale – e in particolare di contenimento della minoranza – la scelta imminente di scaricare sui ribelli del Pd la responsabilità del fallimento ormai imminente della riforma della scuola (oggi si votano in Commissione Cultura i primi emendamenti, Renzi ha offerto 15 giorni di tempo per ridiscutere alcuni punti, ma siamo pronti a scommettere che la riforma verrà affossata e che il presidente del Consiglio riuscirà a “risparmiare” il miliardo di euro stanziato per la riforma e riuscirà a scaricare sulla minoranza del Pd la responsabilità di non aver permesso l’assunzione di 100 mila precari”).
Il piano esiste e non ve lo offriamo per fare un’opera retroscenistica di cui non ci interessa nulla, ma ve lo offriamo per capire che i fronti che si sono aperti sul percorso della rottamazione (inchieste, procure all’assalto, immigrazione, partito in agitazione) rappresentano dei macigni forse non più facilmente sopportabili. E da un certo punto di vista anche la scelta di Renzi di far dimissionare Marino rappresenta più una prova di debolezza che una prova di forza del presidente del Consiglio. Perché quando gli schizzi di fango cominciano a far paura non significa solo che c’è un ventilatore che si è attivato ma significa che gli anticorpi per respingere il fango non sono così in salute come si poteva credere. Dunque meglio pensare in fretta al piano B. E non solo a Roma, evidentemente.
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