Ridistribuire ricchezza, non crearla. Fare zapping in tv e capire l’ossessione declinista italiana

Il dibattito pubblico italiano è diventato e diventa, ogni giorno di più, monotematico

di Nicola Rossi | 29 Maggio 2015 ore 13:19 Foglio

Faccio un po’ di zapping. Su La7 incrocio un tipo un po’ alterato che vuole, fortissimamente vuole, eliminare tutti i vitalizi – ma proprio tutti, passati, presenti e futuri – e distribuire il ricavato (non sa e non gli interessa sapere di quanto si tratti) ai meno abbienti. Passo a Rai 1 e trovo un brillante intellettuale che si propone di ricalcolare tutte le pensioni in essere con il metodo contributivo, quantificare il “maltolto” e distribuire il ricavato ai più giovani. Atterro su Rai 3 e qui invece incappo in una giornalista che vuole ridurre il carico fiscale dei lavoratori dipendenti imponendo un divieto di cumulo granitico e senza eccezioni fra trattamenti pensionistici a diverso titolo. Salto su Canale 5 e il video viene occupato da un volto privo di dubbi che chiede perentoriamente di restituire agli italiani ciò che viene oggi dato ai migranti (o meglio a chi se ne occupa). Scivolo su Rai 2 e vengo investito dalla riproposizione della patrimoniale come modalità di abbattimento del carico fiscale sui contribuenti a reddito basso o medio. Spengo e metto su un po’ di musica.

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 Il dibattito pubblico italiano è diventato e diventa, ogni giorno di più, monotematico. L’argomento – quale che sia il mezzo di comunicazione – è uno solo. Sempre e solo quello: la redistribuzione. In buona sostanza non si parla d’altro: in quale direzione tirare una coperta visibilmente corta. Passiamo le nostre giornate a domandarci come portar via qualcosa al nostro vicino in autobus, a chi consuma con noi un caffè al bar, a chi è accanto a noi in fila al semaforo, a chi di fronte a noi legge il giornale in metropolitana. E lui pensa la stessa cosa. Nessuno che si proponga di allargarla quella benedetta coperta. Nessuno che gridi che in questo paese vogliamo fare e faremo in maniera che ognuno abbia la sua di coperta.

Un anno e mezzo fa Matteo Renzi conquistava – superando in scioltezza l’ostacolo delle primarie – la segreteria del Partito Democratico. Qualche mese dopo metteva alla porta – con spregiudicatezza all’altezza dell’obbiettivo – il presidente del Consiglio ed esponente del Partito Democratico che avrebbe in teoria dovuto sostenere. Un anno fa affrontava trionfalmente le elezioni europee. Da allora governa il paese con piglio deciso che sfocia di quando in quando nella esibizione muscolare. Difficile negare l’evidenza: una cavalcata formidabile. In poco meno di un biennio il presidente del Consiglio ha travolto arrendevoli avversari e coriacei compagni stabilendo i termini di una leadership indiscussa. Ma – ed è questo il punto – sta mancando il suo principale obiettivo politico: restituire al paese un’idea di sé e una speranza. Di che speranza parliamo se l’unica speranza possibile è quella di togliere a qualcuno per dare a qualcun altro? Di che idea del paese parliamo se ci limitiamo a proporgli di giocare un gigantesco gioco dei quattro cantoni?

Tutto ciò è la conseguenza di un po’ di peccati originali. Innanzitutto non si milita a caso nel centrosinistra. E fra le ragioni per militare in quella parte politica c’è certamente quella per cui è perfettamente possibile – anzi è spesso auspicabile, nonostante l’evidenza - che l’efficienza venga dopo l’equità. E poi: la rottamazione è stata un’idea brillante ma ha trasmesso in maniera financo brutale il messaggio che c’è qualcuno che ci guadagna (io, se possibile) solo se c’è qualcuno (tu, auspicabilmente) che ci perde. Un messaggio poi ripetuto tutte le volte che per superare un ostacolo non si è trovata altra modalità se non quella di esibire i muscoli. Di asfaltare il malcapitato, come si dice con understatement tipicamente britannico. Ma c’è di più: quando si arriva all’idea del paese ed alla speranza da trasmettere il comunicatore non comunica. La narrazione perde mordente. I concetti si fanno evasivi e lo sguardo si intorbidisce. La musica suona stonata. E vengono in mente le parole di Tony Blair a proposito di Gordon Brown: “Vedevo le enormi capacità di Gordon… Sfortunatamente, mi rendevo conto anche che per essere efficaci quelle qualità dovevano essere combinate con un autentico istinto politico. E quell’istinto viene dalla conoscenza profonda di quello in cui credi, non vagamente, non come valori generali, ma concretamente, sul terreno della vita di tutti i giorni. Gordon in questo aveva una lacuna – non è che aveva un istinto sbagliato: non aveva alcun istinto a livello umano. Calcolo politico, si. Sentimenti politici, no. Intelligenza analitica, si. Intelligenza emotiva, zero. ... Semplicemente non capiva la missione del New Labour in termini che non fossero di sondaggi, strategia, modi per vincere le elezioni”.

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