Bacino pudico a De Luca, ‘nu ddio
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Contro il putridume politicamente corretto dei presentabili, viva lo sceriffo
di Giuliano Ferrara | 29 Maggio 2015 ore 16:52 Foglio
Non serviva il certificato di idoneità prodotto venerdì da Rosy Bindi, era già chiaro per i motivi seguenti che Vincenzo De Luca non è un candidato, è un Supercandidato. Ha fatto cose quasi impossibili per Salerno, è oggetto delle attenzioni cattive e banali di alcuni pm e di alcuni giornalisti ammanettati al giustizialismo de’ noantri, è un combattente senza paura e con tutte le macchie necessarie a fare buona politica in una pessima società civile, ma strafottendosene. E’ ‘nu ddio, per un mascalzone come me. E’ un tipo da cunto de li cunti. Era già chiaro, ma dopo la pubblicazione di una sua antologia ragionata sulla Stampa di venerdì, raccolta da quel grande critico letterario che è Mattia Feltri, bè, è più che chiaro, è lampante, abbagliante verità.
Ho timore di dargli il bacio della morte, ma essendomi andata bene con Bush, Ratzinger, Napolitano, Berlusconi e Renzi, per vent’anni tondi and counting, ed essendo ora De Luca il candidato doppio di Matteo e del Cav., che lo ha elogiato con tatto squisito per la sua presentabilità eleggibile, un bacino pudico voglio inviarglielo. Stefano Caldoro va benissimo, è un socialista rimasto sempre giovane e modesto, ahi molto, troppo modesto, e ha fatto o non ha fatto tra il lusco e il brusco. Ma De Luca è di un’altra razza politica. Ha l’aria di conoscere il territorio, di sapersi destreggiare con cuore docile e mano ferma tra bene e male, irride i miti facili (“La moralità… Enrico Berlinguer… Così moriamo. Fra gli applausi, ma moriamo”); ha fair play (“Che Dio maledica Crozza, devo dire che la sua è una performance straordinaria”); è sovranamente sarcastico e aforistico (“Casaleggio? Uno che dopo i cinquant’anni sta lì tutte le mattine a farsi la permanente è capace di ogni delitto”); liquidatorio (“Grillo? Sta con il panzone al sole nella villa di Marina di Bibbona, poi mette gli occhiali Ray Ban a specchio e va a fare le consultazioni… ohei… che siamo al teatro? Al circo equestre?”); è bipartisan (“Gasparri? E’ una strana mescolanza di umano e di pinguino”); è scientifico, preciso, chirurgico (“I giornalisti? Cialtroni imbecilli sfessati e pinguini”): ve l’ho detto, è ‘nu ddio.
De Luca è un italiano diverso dagli altri che si fingono diversi essendo essi comuni. Viene dalla Repubblica dei partiti, e non lo nasconde. E’ un capopopolo campano, e lo lascia intuire. Conosce l’arte di attuare opere, è operativo per dirla con il linguaggio del management contemporaneo, e magari nutre perfino alti ideali senza parere, senza vanagloria, senza affettazione. Merita l’odio cieco e un po’ sordido dei manettari, l’affetto botticelliano della Boschi, il mio voto. Vorrei prendere la residenza a Casal di Principe o a Napoli per poterlo esercitare senza esitazione in suo favore. L’elezione di De Luca a presidente sarebbe, con il doppio patrocinio imbarazzato di Renzi e Berlusconi, la realizzazione di tutti i miei sogni, un nuovo sonoro sberleffo al putridume politicamente corretto dei presentabili. E rinascerebbe la speranziella di una gestione utile della “nazione napoletana” (citazione da un aureo libretto di Gigi Di Fiore), ché più di questo non è dato immaginare, e di una terra in cui dissimulazione onesta, masaniellismo e senso borbonico dell’autorità si sposano in un clamoroso same-sex mariage.