Landini, ma dove vai?
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La vera Coalizione sociale siamo noi, dicono a Palazzo Chigi. Ecco le prove nella politica economica. Direbbe un mio maestro alla London School of Economics: come la riconosci una coalizione sociale, se la incontri?
di Marco Simoni | 21 Aprile 2015 ore 11:01
Direbbe un mio maestro alla London School of Economics: come la riconosci una coalizione sociale, se la incontri? Fuori dalle espressioni retoriche di Maurizio Landini, una coalizione sociale si vede alle elezioni, quando un partito riesce a raccogliere una maggioranza evidente, oppure quando si impone una agenda specifica nella società che si traduce in atteggiamenti, comportamenti, e norme. Una coalizione sociale è difficile da descrivere e servono allora degli schemi, qualche semplificazione, ma si basa sempre sulla convergenza di interessi economici. In passato, questa convergenza si manifestava dall’incontro concreto di corpi intermedi rappresentativi, oggi invece non solo in Italia ma in tutto il mondo democratico, essa ha bisogno di un leader che ne interpreti e racconti i valori comuni, i desideri, che sia in grado di leggerne i bisogni parlando direttamente alle persone. Ma quando la vedi, sempre di coalizione sociale si tratta, dell’incontro di interessi diversi.
Quell’incontro è oggi visibile, a voler guardare con gli occhi un po’ freddi da studioso, dalle politiche economiche del governo. Da un lato una serie di provvedimenti che hanno l’evidente conseguenza di far aumentare l’eguaglianza. Gli ottanta euro, certo. Ma anche – e soprattutto – il nuovo contratto del Jobs Act. Pur senza il vecchio articolo 18, il nuovo contratto conferirà molti diritti e protezioni a chi non ne ha mai goduto, e questo aumenterà l’eguaglianza; altrettanto fanno le decine di migliaia di stabilizzazioni di lavoratori precari che l’Inps sta registrando. E’ utile ricordare che un precario non solo non riesce ad accendere un mutuo, ma fa fatica a comprare a rate due mobili di Ikea.
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Quando la sinistra-sinistra alza le spalle davanti a questi risultati, o vi si oppone, sta continuando nel suo solco quasi ventennale di attenzione alla forma più che alla concreta sostanza dei problemi di chi chiede maggiore eguaglianza, e offre una spiegazione lampante della distanza tra il suo fiato nei giornali e in televisione e la sua afasia di consensi. Chi ha bisogno di maggiore eguaglianza infatti, ha attenzione massima alla realtà concreta e se anche non ritiene sufficiente quanto fatto finora, ne riconosce con chiarezza la direzione. Si può descriverli come “ceti popolari”, sapendo però che è un po’ impreciso perché a chiedere maggiore eguaglianza ora in Italia sono soprattutto gli under 40 – provenienti da tutti i ceti sociali – impoveriti costantemente da oltre vent’anni.
Accanto a loro, l’altra gamba della coalizione sociale si intravede in un’altra serie di provvedimenti: dal taglio dell’Irap, alle norme sulle banche, sugli investimenti, le norme sulla concorrenza. Queste sono riforme che mirano ad aumentare l’efficienza, a rendere più effettiva la libertà economica, e interessano soprattutto alle professioni più dinamiche e alle aziende che affrontano la competizione internazionale. L’incontro degli interessi di chi ha bisogno di più eguaglianza e chi di maggiore efficienza ha sostenuto tipicamente i governi progressisti dagli anni 90 in poi, ma non è affatto una alleanza scontata, anzi è storicamente meno frequente di quella alternativa (e più populista) tra professioni avanzate e ceti abbienti, ed è un incontro che non resiste senza una leadership in grado di sintetizzarne i valori comuni in un discorso nazionale. Oggi tuttavia questo discorso trae una forza in più dal fatto che il declino economico ventennale da cui stiamo faticosamente uscendo rende questi interessi non solo compatibili, ma complementari: senza crescita (e quindi senza efficienza) non è possibile neanche raggiungere maggiore eguaglianza, una maggiore eguaglianza che si traduca anche in un aumento dei consumi interni è essenziale per riprendere un cammino di crescita sostenuta. Questo incontro di interessi è dunque l’aspetto più profondo di questa fase della vita politica e offre sia una spiegazione al fatto che il consenso del governo cresce all’approvare delle riforme (ricordate: durante la Seconda Repubblica, tempo di coalizioni tra ceti politici non di coalizioni sociali, il consenso calava quando si facevano riforme), sia al fatto che le polemiche strumentali non fanno crescere la forza di chi le sostiene né dentro i partiti (vedi alla voce Italicum) né nella società, e suggerisce la presenza di una base solida alla azione dei prossimi anni che è importante tenere presente.
Marco Simoni è Consigliere economico di Palazzo Chigi