«Una forzatura grave»: i sospetti di Bersani sulla linea del segretario
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Aver «cacciato» dalla commissione Affari costituzionali mezza delegazione «dem» è per Bersani «una grave forzatura, un errore molto pesante»
di Monica Guerzoni. Corriere della Sera, 22 aprile 2015 | 07:56
ROMA - Strappo dopo strappo, la minoranza comincia a pensare che Renzi stia indicando agli oppositori interni la porta del Pd. Nessuno progetta di andarsene, ma da qualche giorno il sospetto li tormenta: «E se fosse il premier a volere la scissione?». Pier Luigi Bersani ha sempre detto di voler stare «con tutti e tre i piedi nel Pd», eppure, a quanto raccontano i parlamentari più vicini all’ex segretario, adesso anche lui comincia a temere un disegno per spaccare il Pd. Aver «cacciato» dalla Affari costituzionali mezza delegazione «dem» è per Bersani «una grave forzatura, un errore molto pesante». E quando ieri mattina in Transatlantico il «reggente» Ettore Rosato gli ha chiesto come intendesse comportarsi riguardo al suo posto in commissione, l’ex segretario ha espresso tutta la sua preoccupazione: «Farò quel che avete deciso voi. Ma procedere così per me non va bene».
L’ossessione dell’ex segretario: Italicum e riforma del Senato
I renziani si dicono certi che «un pezzo di Pd sta provando a buttare giù Renzi» e fanno ironie sulla «ossessione» di Bersani per il «combinato disposto» tra Italicum e riforma del Senato. Ma lui tira dritto verso il non voto, convinto che un sistema senza contrappesi, dove «chi vince il premio di maggioranza prende tutto», abbassi le difese democratiche del sistema. «Il problema non è adesso, che alla guida del Paese c’è il segretario del Pd - è il timore di Bersani -. Il problema è cosa succederà, magari tra dieci anni, quando a Palazzo Chigi ci sarà un altro, con un’altra idea di democrazia in testa». E se una parte della minoranza confida in una possibile intesa che suturi le ferite, lui ci crede pochino: «L’apertura sulla riforma costituzionale? Per me esiste solo se si mette mano all’articolo 2 e si cambia il testo, introducendo l’elettività dei senatori». Un bersaglio troppo grosso, che la sinistra ritiene ormai impossibile centrare.
Speranza: «Ho lasciato quando ho capito»
Lo sconforto prevale e i non-renziani contano gli strappi alla tela del dialogo, tanto che nessuno si fa illusioni sulla possibilità che Roberto Speranza resti capogruppo. Il leader di Area riformista è ancora convinto di aver fatto la cosa giusta presentando le dimissioni e ai suoi deputati ha confidato il sollievo di non essere stato lui a firmare le sostituzioni: «Se fossi stato io a cacciare dieci amici miei, non avrei più potuto guardarmi allo specchio. Stiamo parlando di Bersani che è stato segretario del Pd, della Bindi che guida l’Antimafia, di Cuperlo che ha sfidato Renzi alle primarie, di una ex ministro come la Pollastrini... Non essere più capogruppo non è cosa banale, ma lo rifarei».
Il «film», ha raccontato ai suoi durante un vertice «segreto» alle nove di sera alla Camera, Speranza lo aveva visto dall’inizio. Prima le sue dimissioni da capogruppo, poi la rimozione dei ribelli dalla Com-missione e infine, terza mossa che Renzi avrebbe pianificato a tavolino, il voto di fiducia. Al quale ora si aggiunge - altro presunto indizio della volontà di spaccare il Pd - il mancato invito dei «big» della minoranza alla Festa di Bologna. Miguel Gotor ci vede «un disegno di prospettiva, che vuole trasformare il governo nel nuovo “dominus” del gioco politico». Speranza ritiene che tocchi a Renzi «provare a ricostruire il clima tra noi», perché la palla è nelle sue mani. «Io temo però che la situazione gli stia sfuggendo di mano - è la paura che il capogruppo uscente ha condiviso con alcuni deputati -. Temo che non abbia fatto fino in fondo i conti con i rischi che l’Italicum corre in Aula». Come ha detto Gianni Cuperlo, che ieri ha chiamato Speranza per chiedergli «e adesso che facciamo?», se il governo mette la fiducia la legislatura potrebbe finire. Avvertimento che la Bindi su La Stampa conduce alle estreme conseguenze: «Se l’Italicum porta alla mutazione genetica del Pd, la scissione sarà nelle cose». E nascerà «un nuovo soggetto politico».
D’Attorre:«Bisogna vedere che succede»
D’Attorre assicura che per Bersani e compagni «l’orizzonte rimane il Pd, ma poi bisogna vedere che succede...». Il fantasma della mutazione genetica? «Sì. Giocare alla rottura per creare un partito con un Bersani in meno e un Alfano in più è un calcolo miope. Gli italiani non lo troverebbero appetibile». E dire che, secondo Speranza, «bastavano due modifiche piccole piccole» per ricompattare il Pd... «Ora invece le riforme poggiano solo sulla leadership carismatica di Renzi». Il premier, ha detto ai fedelissimi l’ormai ex capogruppo, «ha scelto di procedere per strappi sempre più duri, mettendo a rischio l’unità del Pd». E quando i suoi gli hanno chiesto allarmati qual è la strategia, lui ha allargato le braccia: «Noi vogliamo starci dentro fino in fondo, ma lui che condizioni crea perché possiamo starci?».