Jobs act, Landini combatte Renzi assieme ai giudici
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Diritto al lavoro. Giustizia sociale. Difesa dei licenziati. Landini e i magistrati scoprono tante battaglie in comune. E si alleano contro la riforma di Poletti.
di Francesco Pacifico | 04 Aprile 2015 Lettera 43
La lotta al Jobs act non si fa semplicemente in parlamento e non passa soltanto per la piazza.
Maurizio Landini ha chiamato all’appello anche i magistrati, che avranno un ruolo fondamentale nell’applicazione delle nuove regole del lavoro.
A 24 ore dalla manifestazione di Roma, nel videomessaggio inviato al convegno di Magistratura democratica a Reggio Calabria il leader della Fiom non ha annunciato soltanto il lancio di un referendum contro il pacchetto Poletti.
PLATEA DELLE TOGHE SEDOTTA. Ha conquistato la platea soffermandosi sulla deriva giudiziaria del Paese e la presenza di «un governo che non ha una maggioranza» e la cosa «gli consente di avere mani completamente libere sul tema lotta alla corruzione».
Ha ricordato che «il vero problema dell’economia di questo Paese non sono le troppe tutele di cui gode il lavoratore, ma il fatto che la criminalità organizzata controlla interi settori dell’economia».
«UNITI PER IL DIRITTO AL LAVORO». Da qui la chiamata alle armi agli amici magistrati, partigiani come lui nella difesa dello Stato di diritto.
«Siamo in presenza», ha detto il leader delle tute blu, «di un attacco al diritto del lavoro e un attacco al ruolo della magistratura e alla sua indipendenza, che dovrebbe essere un caposaldo della nostra Costituzione. Per questo insieme di ragioni crediamo che ci sia molta strada da fare assieme, riteniamo che rimettere al centro la giustizia sociale vuol dire anche fare riemergere la necessità di diritti sociali: a partire dal diritto al lavoro, alla salute, alla casa».
Obiettivi che si possono ottenere «soltanto con una nuova fase di impegno collettivo».
Nel Jobs act conta il “fatto materiale” contestato dall'azienda
Volente o nolente, a Landini sono bastate poche parole per mettere in crisi una delle fondamenta delle nuove norme del lavoro.
Il governo spera di riuscire a convincere le aziende ad assumere, sfruttando due leve: garantendo a chi applica il contratto a tutele crescenti tre incentivi diversi di natura economica (il taglio dell’Irap applicato al costo del lavoro, la totale decontribuzione per tre anni e un ulteriore incentivo se si pesca nella lista dei disoccupati iscritti a “Garanzia giovani”) e una maggiore flessibilità nei licenziamenti.
MAGISTRATI LIMITATI. Se già Elsa Fornero aveva posto dei tetti ai tempi del procedimento giudiziario e all’entità dei risarcimenti, Giuliano Poletti - nell’ottica di dare maggiore certezza ai datori di lavori - ha legato gli indennizzi all’anzianità aziendale e ha ristretto il ricorso al magistrato del lavoro soltanto nei casi dei licenziamenti discriminatori e ha indebolito quello per i “disciplinari”.
Nel Jobs act Poletti impone al magistrato di soffermarsi sul “fatto materiale” che viene contestato dal datore al lavoratore.
L’ingiusta causa e il reintegro scattano soltanto se si dimostra «l’insussistenza del fatto contestato».
CLEMENTI IN PASSATO. Per capire perché questa formula è dirompente, bisogna ricordare che in passato alcuni giudici si erano dimostrati clementi con impiegati scoperti a rubare, perché l’avevano fatto spinti dall’indigenza.
Riccardo Illy, patron dell’impero del caffè, ha raccontato ultimamente: «Conosco imprese che hanno visto i giudici costringerle a riassumere dipendenti che durante la malattia facevano paracadutismo. Perché secondo il giudice quell’attività faceva bene alla salute!». Questa almeno la versione degli imprenditori.
Md: «La giurisdizione non è intralcio alla libertà dell'impresa»