Dottrina Soncini Nell’impero ideale si finanziano solo ospedali e polizia, e si vive meglio.
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L’incompetenza professionale è la conseguenza di una società che ha promesso a tutti una vita al di sopra delle loro possibilità intellettuali.
Guia Soncini 14 Dicembre 2024 linkiesta.it lettura4’
Meglio tagliare tutto, specie la cultura, e puntare sulle uniche due cose essenziali
«Ne muoiono più in Canada per le attese che negli Stati Uniti per i costi». Lo scrive un tizio qualunque sotto l’autoscatto d’un canadese qualunque. Il canadese aveva messo la foto per dire che al pronto soccorso non avevano saputo dirgli cos’aveva dopo avergli depilato il petto per attaccargli gli elettrodi.
Sarà un attacco di panico, suggeriscono nei commenti, lui dice no, ne ho avuti, sono diversi da quel che ho adesso. Continua a rispondere da casa, dov’era andato dopo sei ore d’attesa, e piccato per il suo petto mezzo depilato aveva fatto quel che fanno gli umani di questo secolo: s’era fatto una foto.
I dibattenti sotto quella foto sono un interessante esperimento sociale giacché, m’era già accaduto di notarlo di recente, sulla sanità non si riesce ad avere una conversazione non ideologica. Che una sanità dove girano pochi soldi sia qualitativamente peggiore è un discorso che chi è ideologo della sanità pubblica si tappa le orecchie e urla per non sentire; che morire perché non puoi permetterti le cure non sia tanto meglio che morire perché la sanità povera ti molla in sala d’attesa è quel che non vogliono sentire i fanatici delle privatizzazioni.
I dibattenti sotto quella foto discutono di quella volta che mio cugino è morto perché non gli hanno diagnosticato un aneurisma, di quella volta che l’assicurazione li ha mollati in mezzo a una qualche terapia per cui avrebbe dovuto pagare, di quella volta che è successo anche a me.
Ciò che la trasforma da una conversazione uguale a milioni di altre in un’installazione da Biennale è che il canadese della foto è morto.
È morto il giorno dopo la foto, il pronto soccorso canadese non gli aveva diagnosticato un aneurisma dell’aorta. La vera questione però non è se quindi sia meglio morire d’incompetenza che di debiti, la questione è: siamo proprio sicuri che l’incompetenza professionale non sia un portato inarginabile d’una società che ha promesso a ognuno una vita al di sopra delle sue possibilità intellettuali?
Siamo sicuri che il mondo in cui tutti si laureano sapendo le cose che quattro generazioni fa avrebbe saputo lo zappatore che teneva in ordine l’orto del bisnonno laureato sia un mondo in cui c’è modo di mettersi al riparo dal fatto che il medico che sbaglia la diagnosi è comune quanto il barista che sbaglia la temperatura del cappuccino (ma alla società è costato assai di più farlo diventare medico di quanto ci sia costato far diventare barista il barista)?
Di recente mi ha telefonato un’infermiera d’un reparto chirurgico per un intervento non urgente. Le ho detto che bisognava pianificarlo con un po’ d’anticipo, sono sotto Wegovy e immagino che dovrò smettere di prenderlo un bel po’ prima di farmi fare un’anestesia generale. Sotto che?, ha chiesto la signora. Tipo Ozempic, ha presente? Buio totale. Una volta spiegatole che erano le famose punture per dimagrire e che, rallentando esse lo svuotamento dello stomaco, non ci voleva una specializzazione in gastroenterologia per capire che un’anestesia era sconsigliata se non si voleva morire soffocati dal proprio vomito come una Janis Joplin dei neomelodici, la signora mi ha chiesto con quanto anticipo dovessi sospendere il farmaco. L’ha chiesto lei a me.
È una di quelle storie che, se le racconti a cena, c’è sempre qualcuno che ti risponde come a ogni cronaca d’incapacità lavorativa: eh, ma li pagano pochissimo. Quello che fa errori d’italiano sul giornale?
Lo pagano poco.
Quello che dovrebbe consegnarti un pacco ma non sa trovare un indirizzo nonostante le mappe sul telefono? Lo pagano poco. Quello che sbaglia i nomi nell’arringa difensiva? Lo pagano poco. Quello che non s’accorge dell’aneurisma all’aorta? Lo pagano poco.
Che sarà pure vero, ma mi sfugge il nesso. Scrivo a tariffe molto diverse per committenti molto diversi: non è che mi dico «aspetta che lo faccio peggio, tanto questi sono quelli che pagano poco». Ma non per una malintesa forma di lealtà: perché lavoro come so lavorare. Se mi pagassero di più non diventerei più brava (anche se forse questa frase è meglio non dirla, altrimenti chi mai sarà invogliato a pagarti di più?).
Dall’otorinolaringoiatra che privatamente mi aggiustò il naso rotto storcendomi il setto, alla ginecologa che privatamente m’operò d’endometriosi riuscendo a non richiudermi bene (era estate e avevo la pancia che mi fermentava, una delle esperienze più lunari della mia vita), ho una vita di prove che la sanità gratuita fa schifo ma quella costosa non è che sia una meraviglia. La quantità di persone anche note che sono entrate in cliniche private per sciocchezze e ne sono uscite morte è scoraggiante, se il vostro filosofo di riferimento è Robbie Williams (quello di «non ho paura di morire: è che non voglio»).
Quindi la soluzione qual è? I tagli alla cultura, naturalmente. Alla cultura e a tutto il resto. Siamo troppi, non si può pensare che le cose funzionino bene in tutti i settori, non ci sono soldi per farle funzionare bene o anche solo decentemente tutte.
Quindi eliminiamo i finanziamenti a tutto.
Teniamo solo gli ospedali e la polizia, le due cose senza le quali una società non si regge.
Con molti più soldi di adesso nel bilancio dei commissariati, non mi sembrerà inutile denunciare il furto del portafoglio: ci saranno abbastanza poliziotti per cercare e prendere chi me l’ha rubato, e il crimine non potrà che calare. Con molti più soldi di adesso nei bilanci degli ospedali, si potranno tenere i giovani medici a imparare il mestiere per abbastanza anni da non far danni quando poi diventano operativi.
Sì, lo so che pensate che una società non si regga senza la scuola, ma purtroppo la scuola non serve a granché: basta vedere quanto siamo tutti più fessi e incapaci da quando esiste la scuola dell’obbligo. Quindi no, in questa mia candidatura a imperatrice non prometterò fondi alla scuola.
I vostri figli saranno ciucci esattamente quanto ora, faranno errori d’ortografia esattamente come ora, poi un giorno, se vorranno lavorare in uno dei due settori davvero importanti, ci saranno abbastanza soldi in bilancio da pagare qualcuno che insegni loro a lavorare.
Giacché, spero questo vi sia chiaro, esattamente come a vivere t’insegna solo la vita, a lavorare t’insegna solo il lavoro. Non la scuola, non l’università, non i dottorati. Tutta roba dilettevole, ma che sotto il mio impero ognuno pagherà da sé, rompendo il salvadanaio per proprio sfizio.
In compenso, le infermiere sapranno che non si addormentano i pazienti a stomaco pieno, e al pronto soccorso non scambieranno un aneurisma per un po’ di stress: mi pare un progresso non da poco.