Avanti così. Lo strazio dell’alleanza Pd-M5s finirà come al solito, cioè mai

Per capire Conte e i suoi basta vedere come giocano con le parole (tipo «progressista», ormai del tutto desemantizzata), e sapere chi comanda

Francesco Cundari 31.10.2024 linkiesta.it lettur3’

scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette

Tutti i giornali dedicano anche oggi ampio spazio al Movimento 5 stelle, al suo dibattito interno, chiamiamolo così, e ai suoi rapporti con il Partito democratico. Da dove Elly Schlein e il resto del gruppo dirigente, con qualche minima differenza di tono e di posizionamento tattico, insistono nella strategia del corteggiamento perseguita negli ultimi sei anni – riassumibile nello slogan: se non ti metti con me mi ammazzo – com’è del resto comprensibile che facciano, oramai, a poche settimane dal voto in Umbria ed Emilia-Romagna.

Meno comprensibile è che dopo sei anni in tanti ancora si stupiscano delle ambiguità e delle giravolte di Giuseppe Conte, sommariamente ma sempre utilmente ricapitolate oggi da Marco Imarisio sul Corriere della sera.

Da quella notte del 4 marzo 2018 in cui Davide Casaleggio e Luigi Di Maio si chiudono in una stanza per decidere con chi provare a governare, con lui che entra e dice: «Se volete, sento i miei amici del Pd», e tre mesi dopo è al governo assieme a Matteo Salvini, con cui poco dopo firma ed elogia i decreti sicurezza che abolirà l’anno successivo (parzialmente e dopo molte resistenze, a dire il vero), nel suo secondo governo, quello con i «vecchi amici» del Pd, che in compenso cercherà poi di fregare nel voto sul capo dello stato, quando tratterà riservatamente con la destra (non sarà la prima né l’ultima volta) per portare Elisabetta Belloni al Quirinale.

Nel 2018 si dice orgogliosamente «populista» (e in un’altra occasione anche «sovranista») ma l’anno dopo, davanti al pubblico della Festa dell’Unità, anche «progressista da sempre».

 

Eppure, ancora in questi ultimi mesi, è forse l’unico «progressista» del pianeta a rifiutarsi di scegliere tra Le Pen e Macron, e persino tra Trump e Biden.

L’elenco potrebbe proseguire, ma non c’è bisogno di farla tanto lunga, per spiegare lo sconcerto dei dirigenti del Pd e dei tanti sostenitori, nel centrosinistra, dell’alleanza con Conte, di fronte ai suoi continui ripensamenti: chi l’avrebbe mai detto? In altre parole, la mia personale profezia su come finirà questa storia è semplicissima: non finirà mai. Andrà avanti esattamente così almeno fino alle prossime politiche.

Convinto come sono che per sapere cosa pensi – o forse, meglio, cosa penserà Conte – si debba leggere il Fatto quotidiano (proprio come, per sapere cosa pensi Giorgia Meloni, si dovrebbe leggere la Verità) mi sembra giusto però segnalare anche l’editoriale con cui oggi Marco Travaglio risponde alle obiezioni dei lettori sul suo articolo di ieri, dedicato, si sarebbe detto una volta, alle lezioni del voto in Liguria. Il succo di entrambi i pezzi, indovinate un po’, è che Conte fa bene a tenere a distanza il Pd e anzi fino alle prossime politiche dovrebbe escludere qualunque alleanza a priori con il centrosinistra («si decide caso per caso»).

Ma il passaggio davvero illuminante mi pare il seguente.

«Conte non ha stretto alleanze organiche col Pd: diversamente da qualche smemorato dei suoi, non ha neppure applicato ai 5Stelle l’etichetta di centrosinistra. Nello Statuto approvato dagli iscritti, li ha definiti “progressisti”: l’opposto dell’attuale Pd, refrattario a ogni cambiamento e nostalgico di Renzi». Come si vede, anche volendo tralasciare l’immagine psichedelica di un Pd, quello di Elly Schlein, Francesco Boccia e compagni, addirittura «nostalgico di Renzi», siamo ormai ben oltre i confini della post-verità. Con ogni evidenza, infatti, vale qui per «progressista» – parola ormai del tutto desemantizzata – ciò che in Alice nel paese delle meraviglie valeva per «gloria», che secondo Humpty Dumpty significava «un bellissimo e irrefutabile argomento». Perché, diceva, «quando io uso una parola significa semplicemente ciò che io voglio che significhi… né più né meno». E all’obiezione di Alice, secondo cui «la questione è se puoi far significare alle parole tante cose diverse», ribatteva con un argomento insuperabile e direi fondamentalmente politico: «La questione è sapere chi è il padrone, ecco tutto». Proprio così. Inutile perdere tempo coi dizionari. Alla fine si tratta solo di sapere chi comanda.

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