La fronda gialloverde.Le guerriglie parallele di Salvini e Conte dicono molto di loro, ma anche di noi
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Il leader della Lega vorrebbe fare a Meloni quello che Conte sta facendo a Schlein. A riprova che gli ex partner di governo sono fatti l’uno per l’altro, ma soprattutto che questo sistema politico è fatto apposta per loro
3.2.2024 Francesco Cundari, linkiesta.it lettura2’
Le dichiarazioni pronunciate da Matteo Salvini e dal fior fiore del suo gruppo dirigente su Ilaria Salis, orribili come tutte le dichiarazioni di Salvini quando si sceglie un bersaglio su cui fare propaganda (Laura Boldrini, Elsa Fornero, Carola Rackete: trova le somiglianze), ma ancora più orribili nel momento in cui colpiscono una persona, letteralmente, in catene, sono solo l’ultimo episodio di una sceneggiatura, per quanto orribile, piuttosto scontata.
In vista delle europee, come tutti hanno capito, Salvini tenta come può, cioè maluccio, di restituire a Giorgia Meloni il servizio che Giorgia Meloni gli ha reso durante la scorsa legislatura, in particolare sul finale, quando era Salvini a travestirsi da leader di governo europeo e occidentale, e Meloni a scavalcarlo a destra, o per essere più esatti a superarlo in populismo e demagogia. Cioè esattamente il gioco che, sull’altro fronte e cambiando il pochissimo che c’è da cambiare, Giuseppe Conte sta facendo con il Partito democratico di Elly Schlein, e anche questo ormai l’hanno capito tutti, a parte forse il Partito democratico.
Altrettanto ovvia, ma per qualche misteriosa ragione meno indagata, è invece la sistematica convergenza politica e ideologica dei due ex partner di governo, anzitutto sulle questioni internazionali (e valoriali) di fondo, dal pacifismo-putinismo a corrente alternata (più intenso quando sono all’opposizione, meno quando sono al governo con altri, ma mai del tutto spento) alla più volte esibita e mai rinnegata simpatia per Donald Trump. Una fronda gialloverde che dalla crisi del governo Draghi in poi è venuta più volte allo scoperto.
Da questo punto di vista, le recenti dichiarazioni dell’amico «Giuseppi» sulla sua equidistanza da Joe Biden e dal golpista in chief possono stupire solo chi in questi anni abbia creduto in buona fede alla favola di Conte punto di riferimento dei progressisti. Quindi, nessuno.
Dietro questi movimenti paralleli, dentro il governo e dentro l’opposizione, c’è però un aspetto ancora meno indagato, che ovviamente sarebbe anche il più interessante, e cioè la ragione profonda per cui da trent’anni a questa parte noi continuiamo ad assistere allo stesso spettacolo, vale a dire a coalizioni-colabrodo in cui giocare allo sfascio paga sempre, e si ricomincia ogni volta da capo. Per l’esattezza da quando nel 1993 abbiamo introdotto il sistema maggioritario e cominciato l’infinito balletto delle riforme istituzionali ed elettorali, raccontandoci che in tal modo, attraverso lo «sdoganamento» e la progressiva «costituzionalizzazione» delle forze estreme, avremmo raggiunto l’Eldorado della stabilità e della governabilità.
Il risultato è sotto i nostri occhi: da allora in poi, tutte le forze che l’antica cultura della democrazia dei partiti e il sistema centripeto regolato dalla proporzionale avevano tenuto ai margini hanno preso sempre di più il sopravvento, generando tutti i tipi di populismo possibili e immaginabili (dal berlusconismo al grillismo, passando per il dipietrismo, il salvinismo e il giornalismo italiano).
Il gioco allo scavalco tra Salvini e Meloni da un lato, tra Conte e il Partito democratico dall’altro, è solo la centesima replica di questo film. Ma è soprattutto il prodotto di un sistema che da trent’anni filati continua a dare regolarmente gli stessi frutti, e ragionevolmente continuerà a darne, almeno fino a quando noi insisteremo a coltivarlo allo stesso modo (vedi il grottesco dibattito sulle riforme, il premierato e il “bonus” maggioritario in Costituzione).