Gli industriali di Cuneo hanno ragione: la scuola italiana non serve a lavorare (e nessuno fa nulla)
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Elogio della lettera con cui gli imprenditori locali hanno detto ai loro studenti che nel territorio si assumono solo tecnici specializzati. Un segnale chiaro dell'incapacità della scuola a rapportarsi alle esigenze del mondo del lavoro. Un’incapacità che ci costerà carissima, se non si cambia
di Francesco Cancellato 31.1 2018 - 07:45 wwwlinkiesta.it
C’è tutta la spocchia della cultura e dell’istruzione di casa nostra, nei commenti sprezzanti che hanno accompagnato la breve lettera del presidente della Confindustria di Cuneo Mauro Gola: “Cuneo, il capo degli industriali ai giovani: «Se volete lavorare, non studiate» ”, titola il Corriere della Sera, tanto per dare un’idea del tono della discussione. Come se il povero Gola avesse detto proprio così, che studiare non serve a nulla.
No, in realtà: il presidente degli industriali di Cuneo ha detto un’altra cosa, molto semplice. Che l’unico consiglio che gli imprenditori locali possono dare ai giovani è raccontare loro quel che la scuola non gli dirà mai: quali sono le figure professionali più ricercate a livello locale, affinché scelgano con cognizione di causa il loro percorso di studi. E piaccia o meno, le figure professionali più ricercate a Cuneo sono gli operai specializzati, i nuovi addetti dell’impresa 4.0
Questo non vuol dire che studiare sia sbagliato o che sia sbagliato laurearsi. Vuol dire che in Italia abbiamo un poderoso e mai affrontato problema di mancato incrocio tra domanda e offerta di lavoro. Repetita iuvant: secondo l’Ocse, l’Italia è il paese europeo con il più alto tasso di skill mismatch in Europa, seguito da Spagna, Repubblica Ceca, Irlanda e Austria. Secondo dato: sempre secondo Ocse, lo skill mismatch italiano è più che altro un educational mismatch, legato cioè a una formazione dei giovani non adeguata alle esigenze del mercato del lavoro.
E quindi vuol dire pure che c’è un pezzo di formazione mancante, gli Istituti Tecnici Superiori, che servirebbe come il pane per formare giovani che servono alle nostre imprese e che invece da noi ha meno studenti dei licei musicali - circa 8mila - mentre in Germania forma 800mila studenti l’anno. Vuol dire, ancora, che la formazione tecnica sta declinando rovinosamente da almeno trent’anni. Dal 1990 a oggi gli allievi degli istituti tecnici sono passati dal 44% al 35%, mentre quelli dei licei sono passati dal 30% al 45%.
Quel che Mauro Gola ha fatto, insomma, è mettere il Re di fronte a uno specchio e mostrargli le sue vergogne: che la scuola italiana oggi serve a poco, perlomeno che non serve ai giovani per agguantare quell’autosufficienza che manca loro per crearsi un percorso di vita autonomo, emancipato da quello dei loro genitori.
Tutti laureati in più? Non scherziamo: siamo penultimi nell’area Ocse, davanti al solo Messico, col nostro 18% di laureati sul totale della popolazione, contro il 37% del dato medio e il 46% di Regno Unito e Usa. Penultimi in Europa per il numero di laureati, 26 ogni 100, nella fascia d’età tra 30 e 34 anni e con un abbandono universitario che si aggira attorno al 38%. Peraltro, stanno calando pure le immatricolazioni, il 20,4% - una su cinque in meno - tra il 2003/04 e il 2014/15.
Quel che Mauro Gola ha fatto, insomma, è mettere il Re di fronte a uno specchio e mostrargli le sue vergogne: che la scuola italiana oggi serve a poco, perlomeno che non serve ai giovani per agguantare quell’autosufficienza che manca loro per crearsi un percorso di vita autonomo, emancipato da quello dei loro genitori. È servito? Servirà? No, ne siamo certi. Non interessa parlare di scuola alla politica - nonostante viviamo in un’era globale di poderosa rivoluzione tecnologica, in cui cultura e formazione sono l’unico investimento sensato da fare - perché dovrebbe mettere mano al portafogli, già svuotato da pensioni e sanità. Non interessa nemmeno al mondo della scuola - sottopagato e depresso da una considerazione sociale del ruolo pari a zero - cambiare interessa poco o nulla. Non interessa nemmeno gli studenti, che credono che una scuola diversa - che forma dei bravi tecnici e dei bravi laureati, che si adegua alle rivoluzioni tecnologiche, che continua anche dopo il pezzo di carta - sia possibile solo all’estero. E infatti scappano. Non interessa, a quanto pare, nemmeno ai loro genitori, cui evidentemente piace il ruolo di ammortizzatori sociali al posto dello Stato. Gustibus.