Emiliano costituisce un macigno

Non è interessato allo sviluppo economico della Puglia

di Domenico Cacopardo 31.1.22018 www.italiaoggi.it

Non c'è mai piaciuto Michele Emiliano, un po' Pancho Villa, un po' esemplare esempio di magistrato che, dopo avere esercitato la funzione penale, si candida proprio là dove l'ha esercitata, prima a sindaco poi a presidente della Regione (un conflitto d'interessi ambulante che getta un'ombra sinistra sul tempo trascorso in magistratura), un po' Masaniello, un po' cardinal Ruffo, quando si batte contro le decisioni dell'Unione europea sulla delicata questione dell'epidemia di «Xylella», sull'approdo del gasdotto Tap, infrastruttura vitale per l'Italia a rischio ambientale zero (e qui, utilizzando il complesso «Nimby» - «not in my back yard, non nel mio giardino», si ventilano indimostrabili conseguenze drammatiche), o sull'Ilva di Taranto, destinata, se si continua così a diventare un monumento funerario alla siderurgia italiana, un deserto occupazionale, un danno misurabile in punti di pil.

Insomma, un mix di demagogia e populismo che nulla ha a che fare con la storia della sinistra responsabile, quella che, per bocca di Enrico Berlinguer, dichiarò di sentirsi più sicura sotto la protezione dell'ombrello Nato, o che decise di partecipare alla guerra del Kosovo, più come atto di coerenza all'alleanza occidentale che per esigenze belliche vere e proprie, quella che tentò, per mano di D'Alema una riforma del lavoro, naufragata per l'opposizione dello stolido (politicamente) Cofferati.

Nella follia rappresentata dalla normativa elettorale dei presidenti delle Regioni, paradossalmente chiamati «governatori», per l'eccesso di poteri che si concentra nelle loro mani, Emiliano è l'incarnazione perfetta delle degenerazioni (politiche) del sistema, sia per la personalizzazione del ruolo, sia per l'attività politico-amministrativa votata al contrasto delle politiche nazionali.

Se ci chiediamo il perché la tranvia italiana non riesce a stare al passo con la locomotiva europea una risposta è nei tanti Emiliano che gestiscono un sistema regionale che è una palla al piede parassitaria, ostacolo a ogni idea di sviluppo. Ma l'ultima uscita di Emiliano merita di essere ripresa e ricordata.

Il giorno 30 gennaio, poco dopo la chiusura delle liste elettorali e, quindi, all'inizio di una campagna politica difficile come non mai per la presenza di un partito antisistema, antidemocratico e autoritario, Michele Emiliano, in un'intervista al Corriere se ne esce con espressioni del genere: «Noi», riferendosi a se stesso e usando il plurale majestatis accantonato anche dal papa, «dobbiamo combattere il renzismo la deriva Renzi è perdente, con lui si rischia un processo di disgregazione inarrestabile dobbiamo convincerlo a lasciare » (per memoria, il segretario del Pd ha vinto gli ultimi due congressi).

Se fossimo in tempo di guerra (e le elezioni sono una guerra combattuta con mezzi pseudo pacifici) ci sarebbe di che mandare Emiliano alla corte marziale per intelligenza col nemico e disfattismo. Anche se aggiunge frasi di circostanza per sollecitare il voto al Pd, l'intervento del «governatore» rappresenta un atto di vero e proprio autolesionismo.

E se qualcuno cerca una prova dell'assenza dell'autoritarismo renziano, paradossalmente Emiliano ne è prova vivente. Non c'è dubbio che questo metodo di lotta politica (e infrapartitica) ha un elevato tasso di immoralità che testimonia della decadenza del sistema italiano causa e frutto della decadenza complessiva subita in questi decenni.

Il 5 marzo capiremo chi, a forza di voti, avrà avuto ragione: probabilmente nessuno. Si affermerà così la necessità di ricostruire, ricominciando da zero.

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