Se i media si ostinano a diffondere balle finiscono per scavarsi la fossa da soli
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I media italiani (ma non solo) sono, da sempre, il megafono, troppo spesso acritico, di quelli anglo-americani che spesso, a loro volta, non diffondono la verità ma solo i fatti (sovente deformati)
di Pierluigi Magnaschi Italiaoggi 1.2.2017
I media italiani (ma non solo) sono, da sempre, il megafono, troppo spesso acritico, di quelli anglo-americani che spesso, a loro volta, non diffondono la verità ma solo i fatti (sovente deformati) che vanno per la maggiore e che, alle volte, sono stati costruiti, con grande abilità, dal potentissimo sistema spionistico-istituzionale statunitense e, altre volte, dalle altrettanto influenti lobby finanziarie.
Ci sono voluti ben 12 anni, ad esempio, per riuscire a far ammettere all'ex premier britannico Tony Blair di aver deciso (assieme al presidente americano George W. Bush) l'ingiustificata guerra contro l'Iraq di Saddam Hussein, basandola sul fatto che il dittatore iracheno disponeva di armi di distruzione di massa (in prevalenza chimiche) che era disposto ad usare. Sennonché questa era un balla colossale e i due (Blair e Bush) la sapevano perfettamente, visto che avevano contribuito a costruirla.
C'è voluta la determinazione di un altro premier inglese, Gordon Brown, e l'abilità della Commissione parlamentare Chilcot, istituita nel 2003, per scoprire che le armi di distruzione di massa, sulle quali tutti i media occidentali si erano gettati a pesce, seminando per mesi il panico fra l'opinione pubblica mondiale, erano una balla gigantesca e sfacciata, e quindi i 150 mila morti di questa guerra (e i 400 mila feriti) sono morti inutilmente anche con il concorso dei media boccaloni, abituati a ripetere le tesi mainstream dei potenti.
Non è per difendere Donald Trump (che si difende molto bene da solo e che non riscuote, se questo è il punto, la mia simpatia) che rilevo la mistificazione alimentata dalla sinistra democratica contro il nuovo presidente degli Stati Uniti. Queste mie considerazioni le formulo, non per difendere Trump, ripeto, ma solo per cercare di ripristinare qualche brandello di verità, in difesa dell'onorabilità dei media, contro la colata lavica delle menzogne che anche uno sprovveduto, se volesse, riuscirebbe a scoprire. Nino Nutrizio, uno straordinario (e cinico) grande direttore di giornale (ne ha fatto solo uno, ma leggendario: la Notte) diceva ai suoi giornalisti che, se non si vuole perdere la faccia, non si debbono mai raccontare delle balle ma, se proprio le si vogliono pubblicare, è bene usare quantomeno l'avvertenza di mettere d'accordo il titolo con il testo.
Questa precauzione non è stata invece adottata da un grandissimo quotidiano italiano che, tre giorni dopo l'insediamento di Trump, aveva commentato la (per lui) scandalosa firma della costruzione del muro fra gli Stati Uniti e il Messico, pubblicando una foto a colori, incombente e immensa, che riprendeva dei ragazzini davanti a una barriera alta almeno 5 metri. Se Trump, in 24 ore, fosse riuscito a costruire quell'imponente e dissuasivo muro metallico-tecnologico, egli non sarebbe solo il presidente degli Stati Uniti ma anche Batman o Mandrake. Quel muro invece, per il quale l'opinione pubblica di tutto il mondo è stata invitata a manifestare in ogni modo contro quel forsennato xenofobo e costruttore di barriere che è Trump, esiste da decenni. Il muro con il Messico è stato infatti inventato da Bill Clinton nel 1994 (18 anni fa quindi) e, visto che non si era dimostrato sufficientemente impermeabile nella sua iniziale versione, era stato successivamente potenziato da Bush nel 2006 con una legge che si avvalse anche del voto (tenetevi aggrappati!) di Barack Obama e di Hillary Clinton.
Non solo, durante il doppio mandato di Obama, in aggiunta alla barriera e al suo pattugliamento armato da terra con l'esercito e i poliziotti federali, Obama, dicevo, aveva introdotto anche gli elicotteri dotati di fucili mitragliatori che sorvegliavano la zona del muro come faceva Hemingway in Africa, ai tempi della sua caccia grossa.
Altre bufale. La «precauzione» di quattro mesi adottata da Trump nei confronti degli immigrati di sette paesi musulmani è stata descritta, stracciandosi le vesti, dai media appecoronati, cioè da tutti, purtroppo, come l'ulteriore dimostrazione che Trump è intenzionato a scatenare una guerra frontale contro il mondo musulmano e che quindi va fermato con tutti i mezzi prima che commetta l'irreparabile, signora mia.
Il fatto è che questi sette paesi erano stati esattamente indicati da Barack Obama in un suo specifico act che risale addirittura al 18 ottobre 2015. I sette paesi erano stati scelti, con il concorso dell'intelligence Usa, dall'ex presidente, non perché sono musulmani ma solo perché, oltre che essere musulmani, sono anche pericolosi per gli Stati Uniti. Che è esattamente la motivazione del provvedimento deciso da Trump.
Obama, sempre in questi giorni, viene anche descritto da tutti i media di tutto il mondo come un presidente nero dal cuore grande e con le braccia aperte, che accoglieva, con generosità francescana e senza riserve i profughi provenienti dalle aree più disgraziate del mondo. Questi ultimi, purtroppo, dopo Obama, dicono le folle mediatizzate che ne sentono la nostalgia, saranno respinti inesorabilmente verso i loro drammatici inferni di provenienza.
Non so (e, con me, tutti) che cosa farà Trump in futuro. Lo vedremo presto, suppongo. Di certo però so (perché ci sono delle cifre ufficiali che lo inchiodano) che cosa ha fatto, in concreto, il descritto come accogliente Obama, nei confronti degli immigrati che, anziché sbarcare a Lampedusa, hanno commesso il drammatico errore di entrare negli Stati Uniti, ritenendoli più accoglienti. Ebbene, i dati ufficiali forniti da Homeland Security dicono che Obama, in barba ai suoi discorsi al rosolio, ha espulso, in soli sette anni, ben 2 milioni e 865 mila clandestini e manca ancora il conteggio del biennio 2015-2016 che farà ancor più impennare questa cifra. Chi ama la generosa accoglienza degli immigrati, se fosse in buona fede e se, bisogna anche aggiungere, non fosse stato sistematicamente disinformato, non dovrebbe quindi stracciarsi le vesti davanti a Trump. Ma avrebbe dovuto manifestare la sua indignazione fin dal 2008 quando Obama mise alla porta, manu militari, e in solo un anno, ben 359.795 immigrati clandestini. Se l'Italia, in un anno, ne espellesse un decimo verrebbe giù il mondo contro di noi. Con il Papa in testa, è ovvio. Che però su Obama è sempre stato zitto.
E se vogliamo fare il bilancio anche sull'attitudine guerrafondaia di Obama, un presidente Usa, non dimentichiamolo, che fu premiato, sulla parola, con il Nobel della pace prima addirittura che cominciasse a mettere le mani in pasta, basti ricordare che lui, lasciando il suo secondo mandato, lascia aperte ben sei guerre: in Iraq e Siria (quest'ultima da lui specificamente provocata), Libia (anche qui per sua diretta responsabilità), Somalia e Yemen (da lui aggravate) oltre che in Afghanistan e in Pakistan. Con questa eredità da brividi, Obama, in quando presidente del paese più potente nel mondo, non va certo elogiato. Ma il sistema pilotato dei media globali, anziché processare chi ha provocato questi immensi guai, preferisce, per far dimenticare le responsabilità di Obama, scaricare il suo impresentabile fardello sulla spalle dell'ultimo arrivato. Trump, appunto. Che se ne fa un baffo. Ma sono affari suoi. E della sua singolare propaganda.
Pierluigi Magnaschi