D'Alema guida una minoranza pd che è fatta di cacicchi meridionali
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Mentre si accapigliano sulle piazze sulla data del voto, i partiti si interrogano su come gestire i due sistemi elettorali, quello della Camera basato sulle liste di partito e quello del Senato che favorisce le coalizioni (che possono essere anche diverse nelle varie regioni).
di Giorgio Soave Italia Oggi 1.2.2017
Mentre si accapigliano sulle piazze sulla data del voto, i partiti si interrogano su come gestire i due sistemi elettorali, quello della Camera basato sulle liste di partito e quello del Senato che favorisce le coalizioni (che possono essere anche diverse nelle varie regioni). La probabilità che si raggiunga un'intesa per modificare queste regole differenziate e per certi aspetti divergenti uscite entrambe dal taglia e incolla della Consulta è infinitesima, quindi tutto lascia prevedere che si voterà presto e con queste norme.
La prevista scissione della sinistra del Partito democratico, che ha l'immagine di Massimo D'Alema ma i voti dei cacicchi meridionali, rende complessa la scelta di alleanze possibili (al Senato) per Matteo Renzi, che, tuttavia, ha il vantaggio di potersi confrontare con una rottura che precede le elezioni, mentre nella tradizione della sinistra avveniva il contrario.
Lo stesso, a parti rovesciate, vale per Silvio Berlusconi, che vorrebbe un accordo elettorale più tecnico che politico con la Lega (che ha bisogno dell'apporto di Forza Italia per superare lo sbarramento nelle regioni centro-meridionali al Senato), in modo da avere mani libere sulle alleanze postelettorali. In una situazione ancora così confusa, le prospezioni e i sondaggi non servono a un granché, perché non è definito il quadro delle offerte politiche su cui l'elettorato dovrà scegliere.
Se è vero che proiettando i dati disponibili si ottiene l'esito di una sostanziale ingovernabilità, perché nessuna delle coalizioni ipotizzabili otterrebbe una maggioranza sufficiente, è ancora più vero che il comportamento elettorale è assai più fluido che negli anni passati e quindi le previsioni risultano ancora meno attendibili.
D'altra parte il comportamento elettorale ha risentito, fino a poco fa, della grande divisione del 1948, determinata soprattutto da una scelta di campo internazionale. Questi parametri ora stanno perdendo peso perché sono cambiati radicalmente i punti di riferimento: Donald Trump non somiglia affatto a Roosevelt, Vladimir Putin non è Stalin e se si arriva a sentire il capo del partito comunista e dello stato cinese presentarsi come campione della globalizzazione e del libro scambio contro un'America protezionista, vuol dire che tutti i punti di riferimento tradizionali sono saltati.
Questo non significa che il quadro internazionale non resta rilevante, solo che i partiti non sono ancora in grado di darne un'interpretazione e si rifugiano in giaculatorie sovraniste o europeiste egualmente generiche e puramente allusive anche se radicalmente (e infondatamente) contrapposte
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