I topi a Roma? Raggi li integri nel tessuto cittadino
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Crescita zero e pochi gatti invecchiati: le colonie feline sono lo specchio d'Italia. E i topi ballano. Raggi li impieghi in lavori socialmente utili. Il graffio di Lia Celi.
Vincino Foglio
di Lia Celi | 12 Luglio 2016 Linkiesta
«Di che cosa ha bisogno il tuo gatto sterilizzato?».
Nell'angoscioso interrogativo lanciato da un onnipresente spot tivù sta una delle spiegazioni all'emergenza topi, romana e non solo.
Abbiamo castrato i nemici naturali dei topi e poi ci lambicchiamo il cervello per prevenire i loro desideri, che nei gatti con tutte le ghiandole a posto e la ciotola meno straripante comprendono anche la caccia ai topi.
LA VERSIONE GATTESCA DELL'ITALIA. Le colonie feline che erano una delle attrazioni delle rovine della Città eterna, dove in estate, fra i Mercati Traianei e Torre Argentina, migliaia di esperte mamme gatte istruivano le nuove generazioni di derattizzatori a quattro zampe, a quanto pare sono diventate la versione gattesca dell'Italia descritta dall'Istat: crescita zero, pochi gatti invecchiati, sovrappeso e demotivati.
Ma, a differenza del Belpaese bipede, manca l'apporto di forze fresche da Paesi meno fortunati: i due mici migranti arrivati sui barconi dalla Siria nel 2014, più uno dal Sudan nel 2015, non bastano certo a ripianare il gap. Né il gat.
UN ESEMPIO DI INTEGRAZIONE. I gatti romani, del resto, sono uno dei più antichi esempi di integrazione di immigrati mediorientali, discendendo dai primi esemplari sbarcati in Europa dalle navi dei legionari di ritorno dall'Egitto di Cleopatra.
Dove erano stati imbarcati appunto per ripulire dai topi le stive cariche di cereali provenienti dal Nordafrica, «granaio dell'Impero» (già, altro che fame e miseria, da quelle regioni arrivavano gli alimenti-base per l'Italia e l'Europa. Come cambiano i tempi, vero?).
Servirebbe un pifferaio derattizzatore. Ma con i debiti che ha Roma...
Il problema è che i gatti saranno pure più carini dei topi ma hanno in comune con loro alcuni difettucci: pisciano e scagazzano in giro, portano pulci e malattie e si riproducono a manetta, non avendo nemici naturali se non le automobili, gli psicopatici sadici e i satanisti, sempre a corto di gatti neri.
Per questo si è provveduto a sterilizzarli.
Certo, non è solo al loro crollo demografico che si deve l'impennata della popolazione topesca nella Capitale, e nemmeno al fatto che per ora cinghiali e gabbiani, altre specie immigrate nello spazio urbano, non sembrano avere intenzione di svolgere il lavoro che i gatti romani si rifiutano di fare.
«NON ABBIAMO LA BACCHETTA MAGICA». Intanto nei giardinetti di Tor Bella Monaca la marcetta «Topolin, Topolin, viva Topolin» sta assumendo un aspetto molto più naturalistico che a Disneyland, per la gioia dei bambini: ora non hanno più bisogno di andare a Marne-la-Vallée o in Florida per farsi un selfie insieme a un topo più grosso di loro.
«Provvederemo, ma non abbiamo la bacchetta magica», ha detto Virginia Raggi, che la scorsa settimana ha portato suo figlio alla cerimonia di insediamento, non solo per orgoglio di mamma, ma probabilmente anche perché al momento il Campidoglio è l'unica zona di Roma in cui un bambino può giocare senza che un ratto gli rubi il pallone.
O TEMPORA, O MORES! La bacchetta magica no, ma un pifferaio magico in giunta ci starebbe bene, a meno che Beppe Grillo non rivendichi per sé un ruolo che gli riesce benissimo, almeno con gli esseri umani.
Fra l'altro, i pifferai magici sono tedeschi puntigliosi e vogliono essere pagati pronta cassa e in contanti: l'ultimo sindaco, anzi, borgomastro, che non ha tenuto fede all'impegno se n'è pentito amaramente.
E con i debiti che il Comune di Roma ha sul groppone, dove li trova Raggi i mille scudi per il pifferaio derattizzatore?
Forse l'unica soluzione, e la più gradita agli animalisti, è integrare i topi nel tessuto cittadino impiegandoli in lavori socialmente utili: fattorini, guide turistiche, mini-centurioni nei pressi del Colosseo, figuranti in mini-toga nell'antico Senato. Come direbbe Cicerone: o tempora, o mores!
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