TOGHE CHE GIUDICANO TOGHE (E LE ASSOLVONO) – L’AZIONE PENALE
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È OBBLIGATORIA? NON SEMPRE – NEL CASO DI BRUTI LIBERATI, PROSCIOLTO PER IL FASCICOLO SEA DIMENTICATO, SE MANCA IL DOLO VA TUTTO BENE
Filippo Facci: “Sia il Csm sia il tribunale di Brescia, hanno sancito che sulla carta Bruti è colpevole: e stiamo parlando di violazione di una norma costituzionale. Però l’hanno prosciolto, in virtù di una presuntissima mancanza di dolo: come a dire che non fare apposta renda meno grave la violazione di un principio costituzionale”…
Filippo Facci per “Libero quotidia9 GIU 2015 12:40no”
a sinistra il procuratore aggiunto di milano alfredo robledo, a destra il procuratore capo edmondo bruti liberati
A SINISTRA IL PROCURATORE AGGIUNTO DI MILANO ALFREDO ROBLEDO, A DESTRA IL PROCURATORE CAPO EDMONDO BRUTI LIBERATI
Bene, ora è ufficiale: nella Repubblica Italiana l’azione penale non è obbligatoria, a dispetto di quanto recita l’articolo 112 della Costituzione. In questo Paese si discute di trasformare l’azione penale da obbligatoria a discrezionale - da decenni - e ora ci siamo arrivati con una prassi consolidata che è esercitata dall’unico potere in grado di giudicare se stesso: la magistratura. ovvio. In pratica, è come se fosse lecito che un pubblico ministero prendesse il primo fascicolo della pila e lo mettesse in fondo, o addirittura che lo imboscasse in un cassetto per non dire di peggio.
Un togato può decidere quali fascicoli prenderanno la polvere e quali invece passeranno in corsia di sorpasso: sono i magistrati a decidere le sorti delle montagne di pratiche che ogni tanto mostrano in tv a proposito di tempi geologici della giustizia, mentre non è chiaro chi controlla i fascicoli che vengono dimenticati e quelli che invece diventano improvvisamente urgenti. C’è un casus belli che ha ufficializzato tutto questo - ripetiamo: solo nella prassi - ed è il cosiddetto «Bruti-Robledo», dai nomi del procuratore capo di Milano e del procuratore aggiunto che l’ha denunciato.
La morale, su questo caso, scaturisce dalle valutazioni disciplinari del Csm - risalenti all’anno passato - e ora dalle decisioni dei giudici di Brescia, rese note nei giorni scorsi. In breve: il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati nel 2011 chiuse in cassaforte e «dimenticò» un importante e nevralgico fascicolo (vicenda Sea-Gamberale) anziché assegnarlo al competente Alfredo Robledo. Il fatto straordinario è che quest’ultimo decise appunto di denunciarlo, costringendo i vari livelli della magistratura a esprimersi sul singolo caso e in un certo senso sulla facoltà di ogni magistrato italiano di fare praticamente quel che voglia con un’indagine.
La sentenza: può farlo. Sia il Csm sia il tribunale di Brescia, infatti, hanno sancito che sulla carta Bruti è colpevole: e stiamo parlando di violazione di una norma costituzionale. Però l’hanno prosciolto, in virtù di una presuntissima mancanza di dolo: come a dire che non fare apposta (a crederci) renda meno grave la violazione di un principio costituzionale.
La Settima sezione del Csm già scrisse, nel giugno 2014, di un innegabile «ritardo nella trasmissione del fascicolo»; Robledo nelle sue denunce parlò apertamente di «non consentiti spazi di discrezionalità» giungendo appunto a scomodare un «insanabile contrasto con il dettato costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale», questo, come detto, dopo che il fascicolo Sea era rimasto in cassaforte per settimane per poi essere assegnato al solito pool per i reati finanziari coordinato da Francesco Greco;
quel fascicolo non solo andò al procuratore «sbagliato», ma rimase in sonno per mesi; da capo del pool per i reati societari, Greco dapprima iscrisse il fascicolo a modello 45 (non costituenti notizie di reato) e poi l’affare passò al suo fidato Eugenio Fusco, che si pose il problema della competenza perché il reato si configurava come una turbativa d’asta ai danni dell’amministrazione pubblica, cioè il comune di Milano.
Quando Bruti Liberati annunciò a Robledo che gli avrebbe finalmente consegnato il fascicolo, infine, erano passati altri mesi senza nessun atto: il fascicolo planò dunque sulla scrivania di Robledo solo nel marzo 2012, dopo un articolo dell’Espresso. Questo - scrive ora il gip di Brescia - nonostante «emergesse fin dall’origine in modo netto la configurabilità del reato di turbativa d’asta» di competenza di Robledo... «È dunque affermabile a carico del procuratore milanese un duplice profilo di responsabilità, per la violazione delle regole di assegnazione del fascicolo e per il colpevole ritardo con il quale poneva rimedio all’errore iniziale».
Il punto è che Bruti Liberati è stato assolto: il che, di principio, non ci dispiace affatto, se non fosse che anche l’obbligatorietà dell’azione penale (costituzionalmente prevista: non ci stancheremo mai di ripeterlo) può assolvere chi non la rispetta quando non sia ravvisato «l’elemento psicologico» del «dolo intenzionale». Bruti Liberati dimenticò il fascicolo in cassaforte, sì, giustificazione che «non lo esime da censure di negligenza, ma non ha trovato smentita nei fatti».
Un fatto senza conseguenze? No, ne ebbe eccome: «Tale deplorevole dimenticanza faceva sì che Gamberale partecipasse indisturbato alla gara, quale unico concorrente, aggiudicandosela con 1 euro solo in più di offerta. Tale evento rappresenta certamente un vantaggio patrimoniale per Gamberale e allo stesso tempo un danno per il Comune di Milano». Ma c’è un altro episodio: l’archiviazione frettolosa di Bruti Liberati dell’esposto di Lorenzo Liparini («Lista Bonino-Pannella») sulla falsità delle firme a sostegno delle liste Pdl di Roberto Formigoni.
I giudici scrivono che Bruti Liberati voleva preservare «la partecipazione del Pdl alle elezioni» e del resto «alcune remore del Procuratore appaiono caratterizzate da valutazioni di natura squisitamente politica», come «la forte preoccupazione per le ricadute che una eventuale iscrizione nel registro degli indagati di Guido Podestà, coordinatore regionale Pdl».
Il quale, va detto, è poi stato effettivamente indagato e condannato in primo grado a 2 anni e 9 mesi: ma neppure la «gestione» del suo caso è stata ritenuta una violazione di legge, segnò che la discrezionalità dell’azione penale non è appunto una violazione, ma - a giudizio della stessa magistratura che dovrebbe esercitarla - una facoltà di saggia responsabilità.
Traduzione: fanno ciò che vogliono. Inutile ripetere che l’azione penale obbligatoria nasce per assicurare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione) e che questo principio appare determinante per garantire un eguale accesso alla giustizia, impedendo che la persecuzione dei reati sia dettata da scelte ideologiche, religiose, politiche o comunque da ragioni diverse dalla necessità di assicurare il rispetto della legge. Ma la magistratura, anche se fingiamo di non essercene accorti, si è fatta giudice non solo delle leggi, ma anche del proprio diritto a passarci sopra.
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