MISTERI D’ITALIA – CALVI FU “SUICIDATO” SOTTO

UN PONTE DI LONDRA, MA LA SUA BORSA CONTINUÒ A GIRARE E FU OGGETTO DI TRATTATIVE RISERVATE CON IL VATICANO DI WOJTYLA – IN UN LIBRO, IL GIUDICE ALMERIGHI NE RICOSTRUISCE LA STORIA

Secondo l’ex generale del Sismi Francesco Delfino nella borsa di Roberto Calvi, ex presidente dell’Ambrosiano, c’era la lista dei 500 politici, finanzieri e industriali che furono rimborsati dalla Banca privata di Sindona prima del fallimento…

Fabrizio d’Esposito per “Il Fatto Quotidiano” 16 FEB 2015 12:41

Alle cinque del pomeriggio del 17 giugno 1982 Flavio Carboni telefona a Roberto Calvi. Il faccendiere dice al banchiere in fuga a Londra che gli ha trovato un nuovo alloggio. Calvi è nella stanza numero 881 del Chelsea Cloisters, un alveare malandato di 430 stanze. Un dormitorio di basso livello. Prepara le valigie, due, e si cambia d’abito. Ha una borsa nera che contiene lettere, documenti, le chiavi di due cassette di sicurezza alla Ultrafin di Zurigo, in Svizzera.

I baffi sono più sottili, se li è spuntati. Con lui c’è Silvano Vittor, contrabbandiere triestino, amico di Carboni. A Londra, il 17 giugno 1982 il sole tramonta alle 21 e 21. Intorno alle 22, Calvi esce dalla stanza numero 881 e prende l’ascensore, accompagnato da due sconosciuti. In quel momento al Chelsea Cloisters arriva Carboni ma si rifiuta di vedere Calvi. Con Vittor va in un pub. Raggiungono le loro amanti, due sorelle austriache, Michaela e Manuela Kleinzig.

  Il “suicidio”

La mattina del 18 giugno, su una riva del Tamigi, Anthony Huntley va di corsa al suo lavoro di impiegato delle poste. Sono le 7 e 25. Huntley si ferma d’improvviso. C’è un corpo che penzola, legato con una corda a un traliccio del Blackfriars Bridge, il Ponte dei Frati Neri. A Londra, le sponde del Tamigi hanno due polizie diverse. La sponda dell’avvistamento segnalato dall’impiegato è di competenza della City Police, non di Scotland Yard. La City Police è alle dirette dipendenze del duca di Kent, cugino della regina e capo della massoneria d’Inghilterra.

Il cadavere viene portato al dipartimento di medicina forense del Guy’s Hospital. Si tratta di Roberto Calvi. Il passaporto è intestato a “Gianroberto Calvini”. Calvi indossa ben tre paia di mutande e ha cinque mattoni infilati nelle tasche della giacca e dei pantaloni. Poi: un orologio Omega e due Patek Philippe; 10.700 dollari americani; 1.650 franchi svizzeri; 2.640 scellini austriaci; 54 mila lire italiane; 3,23 sterline inglesi: quattro paia di occhiali; due portafogli; un fazzoletto.

Sul collo ci sono due solchi, uno orizzontale, l’altro obliquo, segni evidenti di strangolamento. Ma la City Police e la giustizia inglese, poi imitate dalla magistratura milanese, si pronunciano per il suicidio. Per uccidersi, Calvi avrebbe fatto sette chilometri a piedi, fino al Ponte dei Frati Neri. Avrebbe trovato la corda lungo il percorso, si sarebbe infilato i mattoni nelle tasche e infine avrebbe raggiunto acrobaticamente l’impalcatura cui impiccarsi.

 Un’indagine per caso

Nel maggio del 1988, Mario Almerighi è un giudice istruttore del Tribunale di Roma. Indaga su una multinazionale criminale di narcos e falsari e risale a Giulio Lena, capo degli italiani implicati. Lena ha una villa a Monte Porzio Catone, vicino a Roma. Viene perquisita. Gli investigatori trovano due lettere. Una è dell’avvocato di Lena, indirizzata a Giulio Andreotti. L’altra è dello stesso Lena, inviata al cardinale Agostino Casaroli nel maggio dell’anno prima, il 1987. Casaroli è il segretario di Stato del Vaticano.

Il pregiudicato, legato alla banda della Magliana, chiede al cardinale la restituzione di un miliardo e 450 milioni di lire versati al “sig. Flavio Carboni”. Il faccendiere avrebbe trattato il contenuto della borsa nera di Calvi con il Vaticano, tramite padre Paolo Hnilica.

Perseguitato dal regime comunista di Praga, amico di Giovanni Paolo II, padre Hnilica (morto nel 2006) è responsabile della Pro Fratribus, che aiuta i cattolici dell’Est. Il 24 marzo 1992, Almerighi deposita l’ordinanza di rinvio a giudizio di Flavio Carboni, Giulio Lena e Paolo Hnilica per la ricettazione della borsa di Calvi.

Dopo una tribolata serie di processi, la Corte d’appello assolve Carboni e Lena nell’ottobre 2005. Il reato è prescritto. Almerighi indaga pure sull’omicidio del banchiere. La Corte d’assise di Roma riconosce che si tratta di omicidio volontario ma assolve Carboni; Pippo Calò, tesoriere della mafia; Ernesto Diotallevi, esponente della banda della Magliana.

   Il 1981 della loggia P2

Un anno prima del “suicidio”, il 20 maggio 1981, Calvi è il presidente e amministratore delegato del Banco Ambrosiano. Viene inquisito e arrestato per infrazioni valutarie. È condannato a 4 anni di carcere e 15 miliardi di multa. Ottiene la libertà provvisoria. Due mesi prima è esploso lo scandalo della loggia P2, la massoneria deviata di Licio Gelli e Umberto Ortolani. Calvi, come tanti altri, è un piduista. Il Banco Ambrosiano ricicla i soldi della mafia e fa spericolate operazione offshore con lo Ior di monsignor Paul Marcinkus. Lo Ior è la banca del Vaticano e ha un’esposizione nei confronti dell’Ambrosiano di un miliardo e 200 milioni di dollari.

   Uno strano tour

Calvi ha conosciuto Gelli e Marcinkus grazie a Michele Sindona, il banchiere mafioso dell’omicidio Ambrosoli, legato alla Dc di Giulio Andreotti. Nel 1982, l’uomo dell’Ambrosiano viene lasciato solo da tutti i suoi “alleati”. Chiede soldi al Vaticano, ma è lo Ior a pretendere la restituzione di 300 milioni di dollari. Anche la mafia rivuole i suoi capitali. Calvi progetta la fuga in Svizzera, per recuperare altri documenti e ricattare tutti. Invece cade nelle mani del faccendiere Carboni, che gli fa fare uno strano tour: Trieste, Austria, Londra. Il suo “suicidio” è rimasto senza colpevoli.

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