Da morti a risorti: il clamoroso ritorno dei democristiani

Il declino degli ex comunisti traditi da gelosie e rancori. Fuori da tutte le poltrone rilevanti. Finocchiaro: “Ce la siamo cercata”. Ci sono tramonti e tramonti. Ce ne è di romantici, di infuocati, di languidi...

Quello dell’anima diessina e post-comunista del Pd, è un tramonto triste e silenzioso: così inarrestabile ed evidente, però, da somigliare addirittura ad un’eclissi. Ad un declino. La “ditta” di bersaniana memoria, perde colpi e posizioni. Non è un processo di oggi, è vero: ma oggi, mentre si va verso l’incoronazione di Sergio Mattarella - leader cattolico ed ex popolare - .

E un berlusconiano infuriato: “Sono cattocomunisti”

31/01/2015 ALBERTO MATTIOLI  La Stampa ROMA

Non moriremo democristiani», era scritto su una memorabile prima pagina del «Manifesto» riesumata e ostensa l’altro giorno da Calderoli. Beh, si sbagliavano. Non solo moriremo democristiani noi ma, andando avanti così, anche i figli, i figli dei figli e i figli dei nipoti. Si scopron le tombe, si levano le balene bianche. C’era già un democristiano, sia pure 2.0, a Palazzo Chigi, ci sarà un democristiano anche al Quirinale. Renzi più Mattarella: en plein, come ai bei tempi.

E infatti a Montecitorio sono le giornate dell’orgoglio biancofiore. È festa grande per i nostalgici della Dc sì bella e perduta, dei discorsi anestetici, delle convergenze parallele, dei «ragionamendi» demitiani e degli editoriali lenitivi del «Popolo». La diaspora si ricompone e fra gli ex diccì finiti nel centrodestra, dall’Ncd a Fi, è palese la voglia di votare Mattarella. «Il richiamo della foresta sarà più forte dei diktat di partito», profetizza Angelo Sanza, deputato per dieci legislature (dal ’72 al 2008), demitiano di ferro: «Un democristiano è per sempre». Come il diamante della pubblicità.

Poi, certo, quella che vince con il nuovo Presidente è la sinistra Dc, dove «Mattarella è stato il fratello maggiore di tanti», racconta Rosy Bindi spiaggiata raggiante su un divanetto in Transatlantico. Poi spiega la differenza fra sinistra Dc e cattolici democratici, ma è roba quasi esoterica. «Chiamateli cattocomunisti!», taglia infatti corto un anonimo rozzo forzista che passa di lì. L’impressione è che la politica italiana, qui sì davvero marziana, replichi da quarant’anni lo scontro fra sostenitori e oppositori del compromesso storico. «Noi siamo i continuatori della solidarietà nazionale, Berlusconi l’erede del pentapartito», conferma Bindi.

E allora Mattarella al Colle sembra una medaglia postuma al valore di una classe dirigente che qualche buon libro l’aveva letto, era in grado di articolare pensieri più lunghi di 140 caratteri e arraffava il potere solo dopo estenuanti selezioni (e forse proprio per questo poi non lo mollava più). «Per emergere, bisognava avere due c... così», ricorda Roberto Formigoni, che pure è un diccì andato nel centrodestra, per la precisione quello nuovo di Alfano. Mattarella, ovviamente, non gli sta bene e non lo voterà («Non siamo degli utili bamboccioni»), però «rappresenta una classe politica migliore dell’attuale. La vendetta della Prima Repubblica, insomma». E pazienza se, in quei tempi di grisaglie, mai Formigoni avrebbe potuto indossare, come ieri, una cravatta giallorosa su una camicia verdeazzurro, tipo incubo cromatico di uno stilista bulgaro daltonico. 

Sintetizza Bruno Tabacci, altro diccì di lunghissimo corso: «Le classi dirigenti non si inventano». Bene quindi Matteo Renzi, che in quest’ambiente di biancosauri fa la figura dell’apprendista giovane ma promettente. Lo ammette perfino la Bindi, che pure l’ha sempre visto come il fumo negli occhi: «In questa circostanza, Renzi ha avuto coraggio». E ci credo: cosa c’è di più democristiano della felpata perfidia con la quale ha fregato Berlusconi?

Morale: la Dc è risorta. O forse non è mai morta. Infatti c’è chi evoca interventi dall’Alto. «Mattarella al Quirinale? Sono convinto che le cose non accadano a caso», dice Pierluigi Castagnetti, e non si capisce se faccia riferimento all’abilità manovriera di Renzi o agli imperscrutabili ma sempre democristianissimi disegni della Provvidenza. Agitando il pince-nez, Giuseppe Fioroni la butta addirittura sul metafisico: «Da cattolici, sappiamo che alla morte segue sempre la resurrezione e che la storia va declinata con l’eternità». E poi, lapidario: «Per i diccì, la parola morire è un ossimoro». Se non moriremo democristiani, è perché i democristiani sono immortali.  

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