CONTROCANTO.Patto Nazareno, lo strappo è un bluff

Il Cav lascia via libera a Mattarella. E non frena le riforme. La rottura con Renzi? Studiata a tavolino. Così Matteo ricompatta il Pd. E il Patto è più saldo di prima.

di Dario Borriello | 30 Gennaio 2015 Lettera 43

Sergio Mattarella sul Colle più alto di Roma, è il vero capolavoro politico di Matteo Renzi. Una strategia finissima, giocata sul filo di lana dal presidente del Consiglio, con la preziosa collaborazione di Silvio Berlusconi e Angelino Alfano.

Nel gioco del poker questo tipo di atteggiamento ha un nome ben preciso, bluff, e si utilizza quando in mano il giocatore non ha combinazioni vincenti, ma tende comunque a spaventare gli avversari ostentando sicurezza. Nel caso italiano l’esempio più azzeccato sarebbe lo scopone scientifico, ma tant’è, tutto fa brodo pur di portare a casa una vittoria importante, come quella del Quirinale.

IL SUGGERIMENTO DI NAPOLITANO. Nata – ormai non è più un mistero – dopo il suggerimento di Giorgio Napolitano, nel corso di uno degli ultimi colloqui privati tra l’ex capo dello Stato e il premier.

Forse quello più drammatico, quando il Migliorista fu costretto a rifiutare l’offerta di rimanere in carica fino all’inaugurazione dell’Expo 2015, in programma per il prossimo primo maggio a Milano.

Renzi ci ha messo un po’ a carburare sul nome di Mattarella. Come suo costume ha voluto approfondire meglio, ascoltando i pareri del suo Giglio magico, ovvero dei fidatissimi Luca Lotti, Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi, Graziano Delrio (che per un attimo aveva realmente cullato l’idea del Quirinale), ricevendo solo feedback positivi.

UNA MOSSA PER FERMARE IL FUOCO AMICO. Confermati anche dagli altri suoi fedelissimi, quelli del secondo e terzo “giro”, da uno dei quali è arrivata una chiave di lettura che ha tolto ogni dubbio al giovane leader dem: «Con l’ex vicepremier di Massimo D’Alema in campo stopperesti il fuoco amico su Giuliano Amato e Romano Prodi».

Nella testa dell’inquilino di Palazzo Chigi è come se si fosse accesa una luce, che all’improvviso ha oscurato tutte le altre ipotesi in campo, come Piero Fassino, Walter Veltroni, Roberta Pinotti, Paolo Gentiloni.

Mario Draghi, che avrebbe messo d’accordo anche Forza Italia e Nuovo centrodestra, si era invece tirato indietro appena percepito di avere i numeri per farcela davvero (ha sempre detto di preferire la presidenza della Bce).

Prima le voci 'incontrollate' su Mattarella, poi l'annuncio

Da quel momento in poi, il premier ha iniziato a tessere la tela per far digerire il nome di Mattarella ai contraenti del Patto di governo (Alfano e Schifani) e a quello del Patto del Nazareno (Berlusconi).

Il Cav è stato l’osso più duro da convincere, un po’ per il passato dell’ex esponente democristiano (nel 1990 si dimise da ministro per protesta contro lo sbilanciamento della legge Mammì a favore dell’allora capo di Fininvest), molto per le difficoltà che sapeva di dover incontrare con l’ala fittiana del suo partito, ostile all’accordo con Matteo e dunque pregiudizialmente contraria a un nome cucito addosso alle necessità del premier.

MORANDO, RICHELIEU DELL'OPERAZIONE. Serviva una exit strategy o un coup de théâtre. E negli ultimi giorni è stata trovata la soluzione del finto strappo. Della fine pianificata a tavolino del Patto del Nazareno.

Voci di dentro del renzismo indicano Enrico Morando, viceministro dell’Economia, come il Richelieu di questa operazione.

Gli indizi confermano la tesi. Renzi ha tenuto per settimane il più stretto riserbo sul preferito per la corsa al Colle, dando solo qualche identikit generico, che sarebbe piotuto corrispondere a chiunque. Nel frattempo gli incontri e le telefonate si sono intensificati con l’avvicinarsi dei primi scrutini. Poi il colpo di scena: da Palazzo Chigi, solitamente un bunker impenetrabile per la stragrande maggioranza dei giornalisti italiani, trapelano voci 'incontrollate' su Mattarella, confermate dal vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, la sera di mercoledì 28 gennaio.

I FITTIANI ESULTANO TROPPO PRESTO. Il giorno dopo è stato lo stesso Renzi ad annunciare la candidatura del giudice costituzionale all’assemblea dei grandi elettori del Pd, scatenando le ire di Berlusconi, che in una infuocata riunione di Forza Italia ha sfogato la sua rabbia per il comportamento del premier, che ha «tradito i patti», stando bene attento però a salvare dal discorso il cammino delle riforme istituzionali.

«È fatta, Silvio si è finalmente accorto di che pasta è fatta Renzi, lo molla», hanno pensato subito i suoi, soprattutto nell’ala dei fittiani che si sono precipitati a esultare davanti a taccuini e telecamere tralasciando il piccolo particolare che il leader aveva comunque ordinato di votare scheda bianca anche al quarto scrutinio, quando il premier avrebbe avuto i numeri per far eleggere Mattarella da solo.

Scheda bianca e niente alt sulle riforme: Berlusconi non strappa

A quel punto qualche dubbio è sorto in alcuni componenti della pattuglia azzurra. Ma se le riforme si fanno lo stesso, e invece di andargli contro cercando di far convergere le minoranze su un nome inviso a Renzi (vedi Amato), gli lasciamo scheda bianca, dove sarebbe la rottura? Cosa sarebbe saltato del Patto del Nazareno?

Domande lecite, ma poste ormai fuori tempo massimo: la strategia era passata, Berlusconi li aveva convinti, o gabbati che dir si voglia. Come confermato dallo stesso Silvio al premier e ad Alfano in una riunione a Palazzo Chigi, svolta giovedì 29 prima che il ministro dell'Interno riunisse i grandi elettori di Area popolare (Ncd-Udc) per indicare ai suoi di votare scheda bianca a oltranza, evitando così lo scontro interno con l’ala più vicina a Cl, decisamente contraria alla nomina di Mattarella.

ANCHE ALFANO DÀ VIA LIBERA. Qualcosa nel meccanismo del centrodestra, però, si inceppa nella giornata del 30 gennaio. Per ore si rincorrono voci di riunioni per scegliere una nuova strategia, fino a quando in serata non arriva la conferma definitiva che Forza Italia voterà scheda bianca sabato 31, consegnando a Renzi e ai suoi la possibilità di eleggere il capo dello Stato da soli, o quasi. In Transatlantico, infatti, Lettera43.it ha raccolto le indiscrezioni di almeno 30, tra deputati e senatori, pronti a esprimere la propria preferenza per l’ex Dc nel segreto del catafalco.

Mentre da Ncd è arrivato addirittura un aiuto insperato, dopo l’appello del segretario dem alla compattezza di tutte le forze politiche sul nome di Mattarella. Alfano, che aveva già fiutato l’aria per l’ampia condivisione delle posizioni espresse dalla sua deputata, Rosanna Scopelliti, in un comunicato stampa che invitava a votare per il giudice costituzionale, ha infatti dato il via libera al gruppo nella sera di venerdì 30.

IL PATTO È PIÙ FORTE DI PRIMA. La conferma che ormai i giochi erano fatti arriva dal Movimento 5 stelle, che aveva provato a infilarsi nelle trattative dopo il suggerimento di Luigi Di Maio di far votare alla rete il nome dell'ex vice di D'Alema. Prima però Beppe Grillo ha chiesto al vicepresidente della Camera di parlare con i pontieri del Pd per capire se i loro voti sarebbero stati determinanti. Quando gli emissari del segretario dem hanno dimostrato di avere i numeri per farcela senza di loro, l'idea dei pentastellati è tramontata e la linea è rimasta quella di scrivere il nome di Ferdinando Imposimato.

Mattarella, dunque, potrebbe diventare il 12esimo presidente della Repubblica con ben più dei 580 voti calcolati alla vigilia. Segno che il Patto del Nazareno è vivo e più forte di prima, che il governo gode di ottima salute, ma soprattutto che Renzi ha ormai le chiavi del futuro nelle mani. E tutto questo grazie a un bluff ben riuscito, nella partita di poker politico più importante della sua carriera.

Ma il giovane premier tirerà il fiato solo dopo che il suo candidato avrà superato la fatidica quota 505, che diventa quindi un’immaginaria linea di confine tra portare a casa un ricco all-in o lasciare il tavolo per sempre.

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