Tra Amato e Mattarella Renzi nasconde il jolly, il Cav.
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aspetta e rilancia. Un caffè di due ore a Palazzo Chigi. Pretattica, veti e sorrisi. Ma il metodo Nazareno non si discute. Oggi il bis
di Salvatore Merlo | 28 Gennaio 2015 ore 20:56 Foglio
Roma. Il Cavaliere scende dalla macchina, viene gravemente introdotto nello studio del presidente del Consiglio, e bevendo un caffè dice per ore cose che ha già detto. Renzi, che le ha già sentite, gli dà risposte che l’altro già conosce. Quello gli dice “Amato”, l’altro gli risponde “Mattarella”, uno dice “Casini” e l’altro increspa le labbra lasciando il Cavaliere così interdetto che a tarda sera Berlusconi confessa ai suoi: “Non mi ha detto niente. Dopo che gli ho messo lì Casini, lui non ha rilanciato. Se parlate con i giornalisti fate solo il nome di Amato”. E insomma Renzi e Berlusconi si misurano con lo sguardo per oltre due ore, e come pokeristi non svelano le carte nascoste, ciascuno chiuso in un’ambiguità sibillina, con il suo mezzo bluff negli occhi. Il Cavaliere torna a Palazzo Grazioli con l’idea d’essere decisivo, “Renzi non ha un doppio forno e deve passare da me”, confessa al suo Denis Verdini, esultando. Mentre il giovane presidente del Consiglio spegne la luce del suo studio con la certezza d’aver protetto il segreto, di non aver cioè rivelato nulla a Berlusconi, e dunque di non aver bruciato il nome di quel terzo misterioso candidato al Quirinale di cui pure tutti mormorano nel Palazzo. E Renzi ha infatti per Berlusconi una simpatia epidermica e disinvolta, “è in formissima, un vero paraculo”, ma lo conosce, e dunque sa che il Cavaliere, in un gioco in cui lucidità e incoscienza coincidono, se messo al corrente del segreto, rivelerebbe il nome misterioso a un suo collaboratore cinque minuti dopo aver promesso assoluta discrezione. Così questa mattina si ripeterà all’incirca la stessa scena: macchina, Palazzo Chigi, salottino, caffè, altri nomi e altri silenzi, e di nuovo le stesse domande, le stesse risposte, la stessa mosca che si posa sugli stessi nasi. “Sarà nebbia fitta sino alla quarta, forse persino alla quinta votazione. Poi, all’improvviso, vedrete, l’epifania”, dice Beppe Fioroni. E bisogna proprio immaginarseli, Renzi e Berlusconi, nello studio di Palazzo Chigi, mentre avviano la ricerca, con quelle linee vaghe che sempre vengono accennate quando si disegna un identikit, quando si tracciano sulla carta l’ovale del volto e la forma della testa, per poi arrivare, schizzo dopo schizzo, al colore della pelle, alle borse sotto gli occhi, ai tratti personali del prossimo presidente della Repubblica.
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A Montecitorio, tra i parlamentari in attesa del primo voto, oggi alle 15, non c’è nevrosi, ma voci flautate: “Sarà un’elezione senza strepiti. E fiorirà all’improvviso. Non c’è più quel clima da presa del Palazzo d’Inverno, con i Cinque stelle scatenati e gonfi di voti, quel vento concitato che portò alla rielezione di Giorgio Napolitano nel 2013”, dice Enzo Amendola, deputato del Pd, area riformista. E i corridoi della Camera non sono campi di battaglia, nessun guazzabuglio. Renzi parla con Berlusconi e parla con Bersani, e alla ringhiosa canea della politica si sostituisce un sottile gioco di specchi, un sussurrarsi nell’ombra, un delicato poker di allusioni e di silenzi. “Il mood è quello placido e misterioso che di solito anticipa i successi diplomatici”, dice Daniela Santanchè. Ieri è stata la giornata di Sergio Mattarella, la mano di Renzi lo ha designato traendolo dallo stato di oggetto posato della politica, dal caos di un’attesa indistinta, porgendolo all’orecchio di Berlusconi. Ma il Cavaliere ha glissato, fatto cenno di no con la testa, coltivando il segreto sospetto che nemmeno questo sia il nome, il vero candidato di Renzi. E d’altra parte il mite Mattarella, quando ha letto il proprio nome suoi giornali, nemmeno lui ci ha creduto, e ha confessato a un amico: “Ma io Renzi non lo conosco, non ci ho mai parlato, non l’ho mai visto in vita mia”. Sabato la quarta votazione.