D’Alema, la vera storia

Renzi cita il Foglio, ecco i tre motivi di quel piano con azzardo

di Giuliano Ferrara | 31 Dicembre 2014 ore 06:27 Foglio

Il premier nella conferenza stampa di fine d’anno si è riferito impropriamente alla candidatura al Quirinale di Massimo D’Alema lanciata nel 2006 da questo giornale. A Renzi piace segnalare che fu “un giornale berlusconiano come il Foglio” a sostenere quell’ipotesi, poi abortita con l’elezione di Giorgio Napolitano. Non è egli il solo, questo il sottinteso delle sue parole, a discutere combinazioni quirinalizie con Berlusconi.

La vera storia è però questa. La candidatura di D’Alema la lanciammo con tempistica d’assalto per tre motivi: primo, era abbastanza ovvio, con Prodi a Palazzo Chigi e Bertinotti e Marini alla presidenza di Camera e Senato, che il maggior partito della coalizione dell’Ulivo, vincitrice delle elezioni quell’anno, chiedesse per sé il Quirinale, ed era realistico pensare che l’uomo forte di quel partito fosse il candidato, circostanza interessante per un giornale politico appena agile; secondo, D’Alema era quel tipo di politico passato dall’antiberlusconismo più rancoroso (“voglio vederlo chiedere l’elemosina a un angolo di strada”) al patto istituzionale di pacificazione prima con l’azienda Mediaset, oggetto di odio ideologico da tempo a sinistra, e poi, tra molte traversie e strumentalismi d’ambo le parti, con il Berlusconi politico (la stagione della Bicamerale per le riforme, osteggiata dall’establishment e dalla magistratura militante), e d’altra parte qui si era sempre sostenuta la linea della pacificazione istituzionale, unica garanzia per il funzionamento del bipolarismo maggioritario (sounds familiar, in tempi di Nazareno?);  terzo, abbiamo sempre criticato la metodologia paramassonica di elezione al buio del presidente, nel silenzio della politica aperta e nel segreto operoso di un seggio elettorale senza candidati prevista dalla norma costituzionale meno bella del mondo, e la candidatura di D’Alema fu proposta per stanare il suo partito e imporre un terreno di discussione capace di delineare un programma in base al quale scegliere un uomo per una carica, il che aveva per noi un senso lineare e democratico, e Piero Fassino in accordo con D’Alema accettò di definire quel programma di spostamento in avanti dell’architettura istituzionale italiana con una nota e scandalosa intervista a un giornale un po’ corsaro, il nostro. Tutto qui, e non è poco. Con l’aggiunta che Berlusconi fu da noi informato del nostro orientamento, come sempre, sulle colonne del giornale; giocò un po’ al gatto col topo, e alla fine si tirò indietro quando già si era tirato indietro il grosso delle eventuali truppe elettorali uliviste. Era un piano con azzardo, anticipato rispetto ai tempi, e noi mosca cocchiera ci siamo poi rifatti con la staffetta Berlusconi-Renzi. Auguri e baci.

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