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Il collasso di South Stream e l’Eni non più politica ma mercatista
di Redazione | 31 Dicembre 2014 ore 06:27 Foglio
La rinuncia da parte di Vladimir Putin al gasdotto South Stream era nell’aria. Eni vi partecipava con il 20 per cento. Il socio di maggioranza russo Gazprom ha di conseguenza rilevato la quota della multinazionale energetica italiana per 300 milioni più gli interessi. L’Eni non è più quella di Enrico Mattei, non è il playmaker assoluto della politica estera di Roma. Tiene conto dei fattori politici con la logica di un’impresa che opera sui mercati internazionali, giacché risponde anche a decisivi investitori esteri, e considera le variabili politiche come dati di fatto.
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Ma c’è di più. Anche il quadro economico delle risorse energetiche è cambiato e ciò modifica la geopolitica stessa. Il prezzo degli idrocarburi s’è dimezzato, come effetto degli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti e delle innovazioni, nella ricerca di petrolio e di shale gas. Il mercato degli idrocarburi non è più in mano ai venditori. Ora guidano i compratori. Il tema della dipendenza dell’Europa dal gas russo, che ha indotto gli Stati Uniti ad avversare South Stream – canale diretto fra Russia, paesi balcanici e Italia, tagliando fuori l’Ucraina – ha così perso rilevanza strategica. Dato il basso prezzo del petrolio, le nuove tecnologie di sterilizzazione delle emissioni di anidride carbonica possono essere adottate senza generare uno svantaggio competitivo rispetto al gas, nella produzione termoelettrica e chimica. Al momento è la Snam, costruttore del tratto sotto il mar Nero di South Stream, a presentarsi alla privatizzazione con un portafoglio meno ricco. Potrà rifarsi in Africa ove Eni ha trovato importanti giacimenti, vedi Mozambico. La geopolitica del 900 è forse da rottamare.