Criminale con diritto alla difesa.mai negato rapine
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e eversione nera e banditismo. Ma Carminati odia droga e mafia. Al Cecato è negata una tutela giudiziaria decente.
Icona mediatica, non sta al gioco. Le ragioni del 416 bis secondo i legali
di Annalisa Chirico | 30 Dicembre 2014 ore 06:27
Anche i criminali hanno diritto alla difesa. Quella che leggete è una difesa di Massimo Carminati. Il giornalista collettivo, per definizione, è megafono della requisitoria e censore dell’arringa. Qui si contraddice la pubblica accusa. Non è lesa maestà ma tributo alla giurisdizione.
Ci hanno raccontato che Carminati è un fascio cecato, dominus di una romanissima cupola mafiosa, trafficante e pluriomicida. Di sicuro c’è un fatto: “Er Cecato” è cecato veramente. Orbo di un occhio. Nell’epopea mitica del “re di Roma” propalata dalla grancassa massmediatica, l’occhio lo avrebbe perso in uno “scontro a fuoco” con la polizia. Prima bufala. L’unica arma che Carminati indossa quel 20 aprile del 1981 è un passaporto falso. Al valico di Gaggiolo, in provincia di Varese, Carminati è a bordo di una Renault 5 con due sodali in fuga dalla retata anti Nar della magistratura romana. Quando l’auto si ferma e i tre tentano di scappare, gli agenti della Digos sparano. Carminati è salvo per un pelo: il bulbo oculare sinistro è spappolato, un frammento del proiettile gli rimane conficcato nella testa.
Il giovane, nato 23 anni prima da una famiglia borghese ben insediata nella capitale, maturità classica e qualche esame alla facoltà di Medicina, non è un neofita del crimine. Infiammato dall’ideologia eversiva, estremista, dei Nuclei armati rivoluzionari, nel ’79 insieme a quattro camerati mette a segno la rapina della Chase Manhattan Bank di piazzale Marconi a Roma. Da allora il certificato penale di Carminati s’ingrossa tra rapine, eversione, banda della Magliana, fino all’ultima clamorosa impresa: il furto nel caveau della banca interna del Palazzo di giustizia a Roma.
“Massimo ha un’alta considerazione di sé”, sorride sornione l’avvocato Giosué Bruno Naso che lo difende da trent’anni. La reputazione conta. Per questo, quando nel dicembre 2012 l’Espresso pubblica un articolo a firma di Lirio Abbate che svela in anticipo l’inchiesta detta Mafia Capitale e attribuisce al Nero condanne per droga e omicidi, Carminati s’infuria: “Finché mi dicono che sono il re di Roma mi sta pure bene, come l’imperatore Adriano. Però sugli stupefacenti non transigo. Lunedì voglio andare a parlare col procuratore capo e dirgli: se sono il capo degli stupefacenti a Roma mi devi arrestare immediatamente”. Assistito dall’avvocato Ippolita Naso, figlia di Giosué Bruno, cita per danni editore e giornalista. L’articolo di “De-Lirio Abbate”, come lo ribattezza Naso pater, alimenta l’ego di Carminati definito “arbitro di vita e di morte”, “unica autorità in grado di guardare dall’alto quello che accade nella capitale”. Ma poi l’articolista si spinge oltre e lo tira in ballo nel “business della cocaina”. Il che, per il Carminati pensiero, equivale alla peggiore delle infamie.
E’ cresciuto nel mito volontaristico che non ammette dipendenze. L’uomo vero è un soggetto nel pieno controllo di sé. La droga è robaccia per il “Mondo di sotto”. Il casellario giudiziario di Carminati conferma la sua impostazione: zero condanne per droga. Quanto al profilo del pluriomicida, in entrambi i processi per l’assassinio del giornalista Carmine Pecorelli (presunto mandante l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti) Carminati è assolto. Il nome del Nero rimbalza in “Romanzo Criminale”, nonché in diverse inchieste su servizi segreti deviati e depistaggi di stragi. Sconta pure il carcere inseguito da accuse poi falcidiate a colpi di archiviazioni e assoluzioni.
“E’ la solita mania tutta italiana di riscrivere la storia del paese in chiave giudiziaria – commenta il legale Naso pater – Massimo non è un frate trappista ma con la mafia non c’entra niente. Hanno tentato di coinvolgerlo nelle trame dei cosiddetti ‘misteri italiani’ privi di alcun esito giudiziario. Se non quello di rinverdire il mito carismatico del Nero”. Una vita tra fiction e realtà. Fino all’ultimo colpo di scena: Mafia Capitale.
L’annuncio dell’“imminente scoperta” avviene nel corso di un convegno del Partito democratico a opera del procuratore capo Giuseppe Pignatone, magistrato stimatissimo che lo scorso sabato ha rilasciato una corposa intervista al Sole 24 Ore per dettagliare sullo sviluppo dell’inchiesta. Pignatone contesta il 416 bis perché è convinto che esista una mafia autoctona, romanissima, dotata degli “indici rivelatori” della tipica struttura associativa mafiosa. Pignatone vuole riuscire laddove gli inquirenti fallirono nei confronti della banda della Magliana (per la quale l’aggravante mafiosa fu esclusa dal giudice). “A quel punto – insinua maliziosamente Naso pater – chi potrà negargli il posto di procuratore nazionale antimafia?”. L’avvocato Naso filia ha coniato l’espressione “mafia parlata”: “Non ci sono morti né feriti. Pullulano invece gli episodi di corruzione, estorsione… ma che senso ha contestare il 416 bis?” L’imputazione mafiosa estende la gamma dei mezzi investigativi disponibili, abbassa la soglia di gravità indiziaria, consente una gestione dei detenuti più favorevole alla procura. Il ministero di via Arenula ha disposto il 41 bis per l’indagato Carminati (non è ancora neanche imputato), il che significa 23 ore in cella e una sola visita al mese per i familiari. Chi lo conosce dubita che il “carcere duro” possa fiaccarlo nello spirito ribaldo. Ma di certo una misura cautelare così rigida rende assai ardua l’articolazione di una strategia difensiva. “Il 41 bis c’è anche a Rebibbia e a Civitavecchia. Perché trasferirlo prima a Tolmezzo, in provincia di Udine, e poi a Parma? Hanno sequestrato i conti suoi e dei familiari. Come farà a coprire almeno le spese della difesa? – si domanda Naso pater – Non siamo messi nelle condizioni materiali per difenderlo. Ma lo sa che hanno pedinato e intercettato me e mia figlia per mesi? Persino durante i colloqui con il mio assistito, cosa che è espressamente vietata dalla legge”.
All’indomani dell’arresto avvenuto il 2 dicembre scorso, si consuma la prima “colossale buffonata”: un interrogatorio di garanzia in cui Carminati dovrebbe rendere conto delle risultanze d’indagini durate quattro anni e racchiuse in 80 mila pagine. Mentre i giornali ricamano sulla scelta di avvalersi della facoltà di non rispondere, manco fosse un’implicita ammissione di colpa, gli avvocati che hanno ricevuto il malloppone appena 12 ore prima dell’incontro con il gip, si tormentano: “Come facciamo a consigliare al nostro assistito di rispondere se non abbiamo avuto il tempo di vagliare le carte?”. L’ordinanza d’arresto di oltre 1.200 pagine, un compendio d’intercettazioni telefoniche e ambientali, replica quasi testualmente l’istanza dei pm “i quali, a loro volta, ricalcano l’ultima informativa dei carabinieri. Il che vuol dire che non c’è più un controllo giurisdizionale sull’operato degli investigatori”, sostiene Naso pater. Davanti al collegio del tribunale del Riesame che potrebbe scarcerare Carminati ma non lo fa, Naso filia si scaglia contro “i metodi di un’indagine ossessiva, quotidiana, mostruosa” e contro un’imputazione, il 416 bis, che è “un calderone senza confini definiti in cui rientra ogni tipo di condotta, secondo il pericoloso e subdolo schema dell’argomentazione assiomatica”.
Come un dogma. In effetti, le intercettazioni andrebbero ascoltate oltre che lette. “Il tono conta – prosegue la giovane e agguerrita Ippolita – E’ una manifestazione di spacconeria romana, un autentico cazzeggio che sconfina nel turpiloquio. Come si può pensare che un mafioso impartisca ordini imprecando seduto su una panchina con la gente che si volta a guardarlo?”. L’ormai famigerata pompa di benzina è un palcoscenico a cielo aperto. Di quale omertà parliamo? Carminati sa da tempo di essere pedinato e intercettato. Con le telecamere installate presso il benzinaio di corso Francia improvvisa siparietti da smargiasso rivolgendosi direttamente ai carabinieri: “Che ne dite, oggi facciamo un’estorsione o un’usura?”.
Quando telefona a Naso filia, esordisce così: “Buongiorno, avvocato, sono il re di Roma”. Sembra una barzelletta. Stando all’ipotesi accusatoria, mentre a Roma scorrono miliardi di euro tra metropolitane e cantieri infiniti, Mafia Capitale si avventerebbe sul bottino delle corruzioni municipali con funzionari disposti a vendersi per 400 euro… “Fateci delinquenti ma non cojoni”, confida un risentito Carminati all’avvocato di una vita, Naso pater, all’indomani dell’episodio di intimidazione denunciato da Lirio Abbate. “Ma davvero credono che per mettere paura a un giornalista già scortato prendiamo un ventenne inesperto e lo mettiamo a bordo di una Clio per speronare un’auto blindata?”. La reputazione prima di tutto. “Forse ci siamo dimenticati che cos’è la mafia vera, come agisce – commenta Naso pater – C’è indubbiamente un malcostume diffuso che riguarda molte amministrazioni comunali. Ma è roba per “Striscia la Notizia” più che per la procura di Roma”. Si spieghi meglio, avvocato. “Se volete c’è una cultura mafiosa ma nessun metodo mafioso. E quella cultura mafiosa, se mi permette, permea la realtà italiana a molti livelli: negli appalti, nell’università, nella magistratura”. Attenzione che la incriminano. “Dico, e ripeto, che quando alcuni incarichi direttivi in magistratura restano vacanti per mesi e anni perché i capicorrente non si mettono d’accordo sulla spartizione dei posti, anche lì si appalesa una logica spartitoria di stampo mafioso”.
I legali sono pronti a dare battaglia. Nessun giudizio abbreviato ma un processo vero, udienza per udienza. Naso pater non esita a definire Carminati un “Robin Hood del XX secolo”: se poteva aiutare qualcuno, non si risparmiava. Se occorreva sbloccare in Campidoglio una pratica, che riguardasse gli affari suoi o di persone a lui vicine, Carminati sapeva chi contattare. “Avete ridotto a questo stato la politica per la quale tanti di noi sono morti? E adesso io vi uso”, era l’atteggiamento sprezzante che il Nero riservava al mondo dei colletti bianchi e dei politicanti all’ombra del Cupolone. Per il resto, conduceva una vita morigerata e rigorosa con la sua compagna nella villetta di Sacrofano, una smart e pochissime uscite, una grande passione per National Geographic, “Quark” e SkyTg24. Banditi alcol e droghe. “Sa quante volte ha pagato le visite mediche private a ex camerati e ai loro familiari?”, evidenzia Naso pater. E allora uno si chiede come potesse mantenere un figlio ventenne a Londra e fare pure beneficenza con le sole entrate del negozio della compagna. “Ricordiamoci che del bottino del caveau è stata rinvenuta soltanto una minima parte”, si lascia scappare l’avvocato. Il Nero le rapine non le ha rinnegate, se l’è appuntate al petto come una medaglia al valore. Adesso che a 56 anni si ritrova per la prima volta nella sua vita al 41 bis, sussurra impaziente al suo legale: “Fateci fascisti ma non mafiosi”. Carminati invoca giustizia.