Il contagio greco allarma più Draghi che la Merkel
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Renzi senza paura, ma per Berlino i paesi periferici perdono credibilità
di Marco Valerio Lo Prete | 30 Dicembre 2014 ore 06:21 Foglio
Roma. La crisi politica ed economica dell’Eurozona torna ad avvampare partendo dalla Grecia, dove tutto è iniziato nel 2010 con la scoperta di conti truccati che erano soltanto la punta di un iceberg, cioè un’impalcatura istituzionale poco sostenibile dell’Unione monetaria. La crisi però non è mai uguale a se stessa. Così uno degli ultimi possibili paradossi è il seguente: a fine gennaio la Grecia andrà a elezioni anticipate e un partito di estrema sinistra è in testa a tutti i sondaggi d’opinione; tuttavia i mercati potrebbero soffrire meno che in passato e a indebolirsi potrebbe essere non tanto la linea del rigore fiscal-monetario, quanto il variegato fronte di chi invoca da Bruxelles un’inversione di rotta. Matteo Renzi incluso.
I fatti, innanzitutto. Ieri il Parlamento greco non ha raggiunto la maggioranza necessaria per eleggere il presidente della Repubblica proposto dal governo in carica, un esecutivo di grande coalizione tra conservatori e socialdemocratici. Ora il voto è obbligato ed è fissato per il 25 gennaio. Per i conservatori correrà l’attuale premier, Antonis Samaras. Il più baldanzoso, perlomeno ufficialmente, è invece Alexis Tsipras, leader del partito di estrema sinistra Syriza che ieri ha parlato di “giornata storica per la democrazia greca”. Adesso infatti Syriza, se sostenuta dagli elettori, potrà arrivare al governo e rottamare quella politica di rigore fiscale, riforme strutturali e intese internazionali che avrebbe ridotto in ginocchio il paese. Tsipras non vuole uscire dall’euro – non foss’altro perché la maggioranza dei greci è ostinatamente attaccata alla moneta unica – ma intende rivedere le condizioni del salvataggio della Troika (composta da Unione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale). Un intento sufficiente a far sobbalzare i mercati: ieri le Borse europee sono prima calate bruscamente dopo la fumata nera, poi hanno chiuso in terreno lievemente positivo (con l’esclusione di Milano e Atene). I rendimenti sui titoli greci sono saliti sopra gli 11 punti; lo spread tra Btp italiani e Bund tedeschi è salito sopra i 140 punti. Buona parte degli analisti, però, ostenta un cauto ottimismo: non si ripeterà il panico finanziario diffuso dal 2010 e interrotto solo nel 2012 quando il presidente della Bce Mario Draghi escluse ogni possibile disgregazione della moneta unica. “Dall’impegno della Bce all’Unione bancaria, passando per un’altra serie di fondi europei, l’Eurozona è oggi più attrezzata per rassicurare gli investitori – dice al Foglio Domenico Lombardi, direttore del programma di Economia globale al think tank canadese Cigi – Ed è pure vero che Tsipras in questi ultimi mesi ha condotto un lungo processo di accreditamento, soprattutto a Washington ma anche a Berlino, per chiarire che non intende catapultare il paese fuori dal mondo. Tuttavia le fonti di un possibile contagio finanziario rimangono pur sempre un enigma”. Dopo la ristrutturazione del debito pubblico greco avvenuta nel 2012, con perdite inflitte ai creditori privati, oggi a far tremare l’euro potrebbe essere una scadenza di pagamento non rispettata o una rinegoziazione unilaterale dello stesso debito. Senza contare che oltre il 60 per cento del debito pubblico greco è ormai in mano a soggetti istituzionali (stati europei, Bce, Fondo Esm, Fmi), quindi ai contribuenti europei. “Mi sento di escludere totalmente un effetto contagio tra l’Italia e la Grecia”, ha rassicurato comunque ieri Renzi.
Sul contagio economico, dunque, si vedrà. Il contagio politico, invece, è già cominciato. “In Grecia la Costituzione prevede elezioni ogni quattro anni. Dal 2007 però votiamo praticamente ogni due anni – dice al Foglio George Tzogopoulos, autore del libro “The Greek Crisis in the Media” (Ashgate) – I politici greci, come quelli di altri paesi dell’Europa periferica, inviano un messaggio totalmente negativo all’esterno. Non sono in grado di cooperare nemmeno quando il loro paese è in pericolo”. Ieri Renzi ha rivendicato di aver imposto flessibilità e crescita nel “vocabolario” europeo: “Per il 2015 ci aspettiamo i fatti. Le riforme strutturali, da sole, non bastano”. Tuttavia dall’altra parte della barricata, secondo il quotidiano francese La Tribune, Berlino può vantarsi di aver frenato gli ardori anti austerity grazie al pressing autunnale della Commissione Ue sulle leggi finanziarie di Roma e Parigi. Costringendo così pure Draghi a ridimensionare certe suggestioni di politiche fiscali più espansive, lanciate in agosto a Jackson Hole. Lo stesso Draghi che il prossimo 22 gennaio deciderà se attivare o meno una politica di Quantitative easing. A tre giorni da un voto greco ancora imprevedibile.