Renzi e la Google map per il Quirinale. Quanti sono

 i parlamentari fedeli a Renzi? Quanti a Berlusconi? Correnti, numeri, equilibri, tattiche. I Nazareni alla prova dello scalpo del premier (o del commissariamento). Ecco tutte le trappole

di Claudio Cerasa | 02 Dicembre 2014 ore 06:30 Foglio

Roma. Nella grande partita di poker che si giocherà nelle prossime settimane attorno alla scelta del successore di Giorgio Napolitano il modo migliore per capire chi saranno i grandi elettori che avranno un peso nel processo decisionale sul futuro del Quirinale è prendere carta e penna e fare semplicemente un po’ di conti. Problema: al di là dei patti, degli accordi e degli assi, su che leva reale potrà fare riferimento il presidente del Consiglio quando arriverà a proporre al capo di Forza Italia una terna di nomi per decidere il prossimo presidente della Repubblica? La questione non è semplice da decifrare perché negli ultimi mesi gli equilibri dei gruppi parlamentari si sono trasformati e hanno registrato scombinate e incontrollate mutazioni genetiche.

Tra i partiti che hanno cominciato questa legislatura sono pochi quelli che si presentano oggi nelle stesse forme in cui si trovavano nel febbraio del 2013: il Pdl non c’è più; Scelta civica si è civicamente Sciolta; il Centro è frammentato; Sel si è divisa; il M5s si è frantumato; e gli unici partiti ad aver mantenuto un’armonia numerica rispetto a un anno e mezzo fa sono il Pd di Renzi e la Lega di Salvini. Dal punto di vista strettamente numerico il peso dei gruppi è sintetizzabile in poche cifre: il Pd ha 416 parlamentari, Forza Italia 143, il Movimento 5 stelle 141, Ncd 63, la Lega 39, Sel 34, il gruppo Scelta Civica 33, il gruppo per l’Italia 28, Gal 14, Fratelli d’Italia 9, il gruppo autonomie (con il Psi) 28, gli ex del 5 stelle 19. L’aggregato generale rappresenta però una riproduzione parziale delle forze in campo e per capire quali sono le varie partite in ballo nel frullatore parlamentare bisogna poggiare l’occhio sul microscopio e allargare l’inquadratura. E mettendo a fuoco la balcanizzazione dell’unico Parlamento della storia della Repubblica che non è stato in grado di eleggere un capo dello stato diverso da quello precedente, si capirà bene come il potere di veto dei gruppi e sottogruppi presenti alla Camera e al Senato potrebbe trasformare la scelta del successore di Napolitano in qualcosa di diverso dalla semplice scelta di un nuovo presidente e in qualcosa di più simile invece a una caccia allo scalpo del segretario del Pd.

 I numeri ci dicono questo. Ci dicono che sulla carta il patto del Nazareno avrebbe i numeri per eleggere un presidente della repubblica dalla quarta votazione in poi (685 parlamentari, tra Pd, FI, Ncd, Scelta Civica, esclusi gli elettori delle regioni) ma ci dice anche che i numeri di cui i leader di Forza Italia e Pd potranno disporre nel segreto dell’urna saranno diversi e saranno condizionati da altri fattori. Un conto è votare, come lo si è fatto in questi mesi sulle riforme, con il voto palese. Un altro, più diabolico e scivoloso, è farlo con il voto segreto (come sarà l’elezione del presidente della Repubblica). In Forza Italia la partita è semplice. Dei 143 parlamentari di FI sono circa una quarantina quelli legati politicamente a Raffaele Fitto (13 senatori, 27 deputati, altri in avvicinamento, quasi tutti pugliesi, punto di riferimento operativo alla Camera Francesco Paolo Sisto, punto di riferimento al Senato lo stesso Fitto). Gli altri (un centinaio) sono grosso modo fedeli alla linea del capo di Forza Italia. E sommando questi al gruppo Gal (che sostanzialmente è una costola di FI) si arriva a circa 115 voti.

Nel Movimento 5 stelle esistono invece due varianti importanti che andranno inevitabilmente considerate. Da una parte, un ruolo significativo lo avranno i fuoriusciti del M5s (15 al Senato, quattro alla Camera) e per questi parlamentari un ruolo di raccordo importante lo sta svolgendo Pippo Civati (5 parlamentari) che sta provando a mettere insieme queste forze con quelle di Sel (in totale il gruppo è formato da circa 60 unità). Dall’altra parte, tra coloro che sono rimasti nel 5 stelle, il cui gruppo è a rischio implosione, c’è un’altra meccanica importante da osservare. E anche questi movimenti saranno fondamentali da studiare e da appuntare per capire su quali basi si dovrà muovere e surfare il presidente del Consiglio. Seguite il filo. Seguite la Google map per il Quirinale renziano.

Il filo ci dice che tra i deputati e i senatori che si riconoscono ancora nel M5s una fetta significativa è quella legata al ribelle Federico Pizzarotti. Nel Pd, con ottimismo, dicono che siano 63 i parlamentari vicini al sindaco di Parma (gira addirittura un foglietto con i nomi) che hanno dato il loro appoggio alla kermesse dei diversamente grillini organizzata a Parma per il prossimo 7 dicembre e quando si andrà a giocare con il pallottoliere anche di questi numeri bisognerà tenere conto.

Ogni partito naturalmente ha delle sue sfumature – persino in Scelta Civica, come raccontato magnificamente domenica sera da “Gazebo”, ci sono cinquanta sfumature di montismo. Ma il terreno sul quale la partita si presenta se possibile ancora più confusa è quello del Partito democratico. Problema: nel gruppo del Pd, quanti sono i parlamentari sui quali Renzi può fare il più completo affidamento? La base di partenza per sviluppare il nostro calcolo si trova su una cifra stampata nera su bianco un anno fa, quando i tre candidati alla segreteria del Pd, Renzi, Cuperlo e Civati, raccolsero nei gruppi parlamentari le firme necessarie per presentare le proprie candidature. Renzi ebbe il sostegno di 230 parlamentari, Cuperlo 150, Civati una manciata. In un anno però la situazione si è ancora più complicata. I 230 renziani risultavano come la somma di 51 renziani puri, circa 60 esponenti di Area Dem (corrente di Franceschini e Fassino), i veltroniani (una decina), più altri parlamentari di varia estrazione. I 150 di Cuperlo sono invece diventati 100 e si trovano racchiusi in una corrente che si chiama Area Riformista, guidata da Roberto Speranza, capogruppo alla Camera (coordinatori del gruppo sono Nico Stumpo e Carlo Pegorer). Gli altri 50 si riconoscono infine nella corrente coordinata da Matteo Orfini, capo dei giovani Turchi, presidente del Pd, alleato di Renzi (coordinatori del gruppo sono Daniele Marantelli alla Camera, Francesco Verducci al Senato). Tra questi blocchi fluttuano senza avere una matrice specifica (tra bindiani, fioroniani, lettiani) una sessantina di parlamentari. E agitando nello shaker i numeri di cui può disporre senza dubbio il presidente del Consiglio il risultato è sorprendente: i 50 di Orfini, i 51 di Renzi, i 60 di Area Dem, una trentina di ex bersaniani, i 10 di Veltroni, una ventina di indipendenti. I calcoli di Palazzo Chigi dicono che siamo intorno alle 250 unità. Poco più dei parlamentari che hanno firmato la mozione un anno fa (diversi hanno scelto altre strade). E poco più della metà del gruppo parlamentare del Pd. Non molti, dunque.

Allontanandoci dal microscopio e tornando a osservare da una prospettiva meno maniacale il peso reale delle forze in campo i numeri, politicamente, ci dicono alcune cose precise. I parlamentari fedeli di cui dispone il Patto del Nazareno sono circa 430 (250 del Pd, 100 di Forza Italia, 63 di Ncd, 14 di Gal). E anche a voler sommare i 100 parlamentari del gruppo del Pd guidato da Roberto Speranza, i 55 grandi elettori delle regioni, i 33 parlamentari di Scelta Civica si arriva a poco più di 616. Numeri con cui Renzi, Berlusconi, Alfano e Orfini non avrebbero la forza di eleggere un presidente della Repubblica neppure dalla quarta votazione in poi (votazione dalla quale occorrono 595 voti, e per ogni votazione che si rispetti per il Quirinale, per non correre rischi, servono almeno cinquanta-sessanta parlamentari di scarto, per non farsi impallinare dai franchi tiratori). Renzi e Berlusconi potranno dunque giocare ancora, come si dice, a fare il gatto e la volpe. Berlusconi potrà continuare ancora a lungo a utilizzare la legge elettorale come uno strumento per fare pressione sul presidente del Consiglio. E Renzi potrà continuare ancora per molto tempo a far finta di essere pronto a stringere un accordo (che non stringerà mai) con il movimento 5 stelle per eleggere il successore di Giorgio Napolitano. Tattica, tattica, tattica. Ma la verità che ci consegnano i numeri dice qualcosa di diverso. Dice che la partita del Quirinale ha tutte le caratteristiche per diventare una caccia al presidente del Consiglio.Che la successione a Napolitano potrebbe trasformarsi nel momento perfetto in cui si capirà se la legislatura renziana avrà la forza di sopravvivere al potere di veto delle molte minoranze incazzate del Parlamento. E ci dice infine che Renzi e Berlusconi, molto semplicemente, hanno bisogno l’uno dell’altro per sopravvivere alla partita del Quirinale. Con una differenza importante rispetto al passato e rispetto agli ultimi mesi. Il patto del Nazareno è fondamentale per scegliere il dopo Napolitano ma non sarà in nessun modo sufficiente. Renzi dovrà allargarlo. Dovrà coinvolgere altri gruppi. Dovrà cedere sovranità. Dovrà fare accordi su accordi. Dovrà sperare nella buona sorte e nel suo tradizionale fattore C. Con la consapevolezza, politicamente drammatica, che sarà sufficiente un movimento azzardato sul pallottoliere per commissariare il Rottamatore e far transitare inesorabilmente la safety car di fronte al governo Leopolda.

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