Europeisti ma non flosci. Ecco un fronte di governo,
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però contro lo status quo. Dopo Draghi e Schäuble, Padoan: “O in Ue si cede sovranità o si continua a strisciare”. Euro, buco nero della ripresa
di Marco Valerio Lo Prete | 02 Dicembre 2014 ore 06:30 Foglio
Roma. “E’ indispensabile cedere ulteriormente sovranità se vogliamo dare una prospettiva credibile di benessere e occupazione in Europa”, ha detto ieri il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, intervenendo in Senato a una riunione del Cosac (Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell’Unione dei Parlamenti dell’Unione europea). “L’Europa si trova di fronte a un bivio: continuare a strisciare o prendere decisioni importanti per imboccare un sentiero di crescita più sostenuto”, ha detto il ministro del governo Renzi. Le parole di Padoan, che venerdì sarà a Francoforte e incontrerà Wolfgang Schäuble, possono essere lette proprio in combinazione con alcune recenti dichiarazioni del ministro delle Finanze tedesco. Schäuble lo scorso 21 novembre aveva chiesto addirittura di “rivedere i Trattati” per rafforzare la moneta unica e creare un ministro delle Finanze comune: “Non voglio dover difendere l’euro per i prossimi cinque o dieci anni con l’attuale governance”, ha detto il ministro più europeista di Berlino. Nel filotto di europeisti “di governo”, ma improvvisamente anche “di lotta” allo status quo, ovviamente si inserisce pure il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, che la settimana scorsa ha sostenuto con inusitata chiarezza che “mantenere i conti in ordine” non basta, che un “salto in avanti” verso “una più stretta unione di bilancio” è necessario, che occorre “condividere ulteriormente sovranità” anche a tutela dei debiti pubblici. Possibile che Padoan, Schäuble e Draghi non abbiano in mente la stessa destinazione per la moneta unica. Certo è che, nell’arco di due settimane, tutti e tre hanno detto in maniera stentorea che l’euro non può restare fermo dov’è. A costo di rivedere i Trattati costitutivi che oggi regolano la convivenza tra stati membri. Dopo la nascita del Piano Juncker di investimenti sul fronte della politica fiscale, dopo l’allestimento di manovre espansive in stile americano (Quantitative easing) sul fronte della politica monetaria, adesso anche la politica tout court e le istituzioni europee sembrano lavorare a “una svolta”.
Sui bilanci nazionali, ma non solo, l'Europa è riuscita in questa fase ad adottare regole sufficientemente vincolanti della sovranità statale. Nell'attuale congiuntura economica, però, aumentano i costi dell'assenza di strumenti sostitutivi, in termini di politiche monetarie o d'investimento. Perciò accanto alle voci sempre più forti che chiedono di 'demolire', ce ne sono altre - anche istituzionali - che parlano con maggiore disinvoltura di riformare lo status quo.
Nessun esito, tantomeno di successo, è garantito. Ma se una svolta di qualche tipo è nell’aria, lo si deve innanzitutto al fatto che l’Eurozona, tirando dritto alla maniera attuale, non potrà che incontrare scogli minacciosi, forse fatali. Prosegue per esempio inesorabile l’allontanamento del livello dei prezzi dall’obiettivo statutario della Bce: l’inflazione dell’Eurozona, a novembre, si è attestata a 0,3 per cento, distante dal canonico 2 per cento. Così i debiti pubblici si fanno sempre più insostenibili, e l’aggiustamento competitivo dei paesi periferici rispetto a quelli centrali ancora più proibitivo. Non aiutano le possibili elezioni anticipate in Grecia, con l’estrema sinistra davanti a tutti nei sondaggi. L’economia reale rallenta, anche nei paesi primi della classe: a novembre – secondo l’indice Pmi pubblicato da Markit – la manifattura tedesca ha fatto peggio delle attese. Come se non bastasse il taglio delle previsioni della crescita di Berlino nel 2014. L’economia italiana, la terza dell’Eurozona, è ancora in recessione. Ecco perché, secondo molte organizzazioni internazionali, il nostro continente è considerato il buco nero della crescita globale. “Negli anni scorsi, di fronte alla fase acuta della crisi, l’Ue ha dovuto dotarsi regole sufficientemente credibili che vincolano la sovranità statale in materia di bilancio – dice al Foglio l’ex ministro per gli Affari europei dei governi Monti e Letta, Enzo Moavero Milanesi – L’attuale congiuntura, tuttavia, evidenzia gravi problemi rispetto alla piena ripresa economica e all’occupazione”. Così la novità è che al fianco della variegata galassia no euro, “alcuni iniziano a parlare adesso con grande disinvoltura di riformare il Trattato Ue o le regole da poco adottate”.
Nel fine settimana, nel quasi completo silenzio mediatico, pure le potenti assicurazioni tedesche sono uscite con le ossa rotte dagli “stress test” dell’Eiopa (l’organismo europeo di controllo sul settore). Sarebbero proprio i gruppi di Berlino, i più ricchi dell’area, a vedere compromessi i loro bilanci in caso di una prolungata situazione di bassi tassi d’interesse. E’ la giapponesizzazione che avanza: anche a Tokyo, all’inizio del decennio perduto, furono le società assicurative a collassare per prime. Fatto sta che ora da Berlino arrivano aperture, su fronti apparentemente diversi: dal via libera di queste ore all’accordo di libero scambio con il Canada (prova generale di quello più sostanzioso con gli Stati Uniti), all’apertura di Schäuble sui Trattati da rivedere. Cosa dovrebbe fare il governo Renzi? “Ammesso che dietro le parole di Berlino ci sia un bluff o una strategia per celare la propria egemonia, il governo italiano dovrebbe comunque rilanciare e accettare una discussione senza tabù, perfino sui Trattati – dice al Foglio Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Affari esteri – La condivisione di sovranità fiscale è la via maestra verso la solidarietà e la corresponsabilità sui debiti. Rimanere sulla difensiva a incassare i colpi della demagogia nazionalista non è più un’opzione percorribile”. Cambiare verso all’euro diventa dunque l’unica possibilità di sopravvivere, anche secondo settori importanti dell’establishment europeista.
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