Berlusconi: «Al Quirinale figura condivisa.
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Noi voteremmo Amato». Parla il leader di Forza Italia: prima l’accordo sul Colle, poi le riforme
di Francesco Verderami
«Sono partigiano» sorride Berlusconi, nel senso che è di parte: «E partigianamente penso che prima venga l’elezione del presidente della Repubblica e poi vengano le riforme». Renzi è servito, è proprio quello che non voleva sentirsi dire. Ma visto che il premier sulla legge elettorale aveva «modificato il patto in corso d’opera», il Cavaliere ha deciso di prendersi la rivincita, e approfittando dell’imminente corsa per il Colle chiede ora di cambiare il timing: intanto si stringa l’accordo sul prossimo inquilino del Quirinale, dopo si chiuderà l’intesa sull’Italicum e le riforme costituzionali. È chiaro che non è più la stessa cosa.
Il leader di Forza Italia dà la sua spiegazione «partigiana» in un ritaglio di tempo tra la rituale visita settimanale al Milan e un appuntamento «dove sto arrivando in ritardo». E il quadro che delinea, a suo giudizio, impone il cambio di programma: «Il Paese vive una situazione preoccupante che non so quanto venga percepita fino in fondo. Siamo in un sistema politico che non è democratico, siamo in presenza di una crisi economica strutturale. E nel bel mezzo di questo contesto cade l’elezione del nuovo capo dello Stato. Perciò credo che si debba mettere subito in sicurezza la massima carica dello Stato».
E va fatto «insieme», ripete Berlusconi: «D’altronde, con le Camere per metà delegittimate da una sentenza della Corte costituzionale e per l’altra metà non rappresentative del reale peso delle forze politiche, credo non si possa prescindere da una scelta condivisa sul presidente della Repubblica, così da garantire un minimo di equilibrio e - mi permetto di aggiungere - di credibilità istituzionale». Traduzione: se il prossimo capo dello Stato non fosse il frutto di una scelta condivisa, sarebbe per il Cavaliere una figura delegittimata.
Sui motivi che hanno spinto Napolitano ad annunciare il suo addio non vuol parlare, «su certe cose al momento non sono nelle condizioni di parlare. Un giorno forse...». Piuttosto è interessato a delineare il profilo della personalità che vorrebbe vedere al soglio laico della Repubblica: «Una persona che non sia di parte, che non venga da una parte sola. Questo è il mio auspicio». Pochi giorni fa ha pubblicamente espresso la sua contrarietà a figure «di partito». Un veto che è sembrato abbattersi su esponenti del Pd come Veltroni e Fassino. «In effetti è così», risponde Berlusconi dopo aver ascoltato quei nomi. «Ma i nomi non voglio farli io». Non ce n’è bisogno. «Io spero che ci venga proposto qualcuno che possa essere votato anche da noi».
Dunque non ha senso una domanda su Prodi... «Beh, se non mi viene fatta...». Perché se gliela facessero... «Se me la facessero risponderei che Prodi già mi vuole tanto male, e quindi vorrei evitare di dire cose che potrebbero peggiorare ancor di più i nostri rapporti. Se penso al caso De Gregorio...». Il nome evoca la storia della transumanza del senatore dipietrista, che dal centrosinistra sarebbe passato al centrodestra in cambio di denaro. Di Berlusconi. «Una storia solo politica che per attaccare me è stata trasformata in un processo». No, non è su Prodi che può combaciare l’identikit per il Quirinale del Cavaliere. Mentre su Amato... «Amato invece rientra in quel profilo». Per il giurista c’è sempre una nomination di Berlusconi ogni qualvolta parte la corsa per il Colle.
Stavolta, però, il Palazzo si prepara a una competizione senza rete, il Parlamento sembra la Jugoslavia del dopo Tito, e il rischio è che - di votazione in votazione - si incendi il Parlamento, condannando la politica alle fiamme della delegittimazione. «Proprio per evitare un simile scenario - secondo l’ex premier - sarà indispensabile trovare un candidato al Quirinale che per storia, prestigio, personalità ed equilibrio, attiri il voto convinto dei grandi elettori. Serve un presidente della Repubblica che rappresenti il popolo italiano. Serve un presidente della Repubblica di tutti gli italiani».
L’enfasi oratoria del Cavaliere è un peso che sembra gettato sulle spalle di Renzi, a cui tocca l’onere di proporre un metodo che smini il sentiero dalle vendette trasversali consumate all’ombra del voto segreto. Non è così, perché Berlusconi si riconosce nel ragionamento del premier, secondo cui «un fallimento sarebbe il fallimento di tutti»: «Renzi deve dare garanzie sul percorso. E ritengo che lo farà. Poi però servirà la responsabilità di tutti». La mano tesa verso il leader del Pd richiama al Patto del Nazareno, all’accordo «che noi di Forza Italia abbiamo stipulato sulle riforme, in modo da modernizzare il Paese, da dargli un assetto bipolare, con istituzioni capaci di funzionare, con un sistema elettorale che consenta a un governo di durare per la legislatura. In fondo, è un patto con noi stessi, visto che queste riforme il centrodestra le varò ma vennero abrogate dalla sinistra con un referendum».
Quanto sia rimasto del Patto originario stretto da Renzi e Berlusconi non è dato sapere. Ma se in politica esiste la categoria della fiducia, il Cavaliere dice «ancora» di riporla verso il leader del Pd: «Io parto sempre da un atteggiamento di fiducia nei confronti dei miei interlocutori. E non ho motivo di non applicare questo atteggiamento verso il presidente del Consiglio». Ora però attende di conoscere la sua mossa. Ed è fortunato, visto che i Cinquestelle si sono spaccati e il Pd non potrà trovare per il Colle sponde nei grillini. «Abbiamo tutti dei problemi in casa», sospira: «Leggo anche oggi sulle agenzie di stampa dichiarazioni da vecchia politica. Politica democristiana». La rasoiata a Fitto, mentre parla di Quirinale, non la vuole risparmiare.
Ma evocando le divisioni in casa propria, Berlusconi ripropone il problema dei numeri necessari a formare una maggioranza per il Colle. E se la politica non ci riuscisse, sarebbe Draghi l’ultima risorsa? Perché l’identikit tracciato dal Cavaliere sembra un indizio che porta fino a Francoforte. «Mi risulta che il presidente della Bce abbia fatto sapere di non essere disponibile». Anche Napolitano, disse di non voler fare il bis, prima che il Palazzo lo richiamasse a gran voce: «Al momento per Draghi la situazione è questa».
29 novembre 2014 | 07:18
© RIPRODUZIONE RISERVATA Il Corriere Della Sera