Lettere al Direttore IL Foglio
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Ancora sul linciaggio di Romeo,
mentre la Zeit si porta avanti col lavoro
1-Al direttore - A proposito del caso Romeo. Mezza giunta Iervolino finì in galera. Stampa e tv furono protagoniste di un linciaggio vergognoso. Giorgio Nugnes, 42 anni, 2 figli, persona per bene, si uccise. L’associazione a delinquere era inesistente. E in questo paese si vuole togliere l’autorizzazione agli arresti per i parlamentari!
Giovanni Hermanin
Ne tengano conto i parlamentari facili alle manette, di questi tempi.
2-Al direttore - Non credo che la Zeit, di cui si scrive nella documentata analisi del Foglio dell’11 luglio, abbia reso un bel servigio a Mario Draghi lanciando l’ipotesi di una sua candidatura al Quirinale e, poi, attribuendo ad Angela Merkel il potere di nominare il successore alla testa della Bce. E’ vero, però, che così si coglie un diffuso approccio che “mavult credere quam iudicare”. L’ipotesi sulle prime può anche gratificare il presidente della Banca centrale, ma credo che egli sia pienamente consapevole del grande impegno che ancora dovrà profondere, dopo i positivi risultati fin qui conseguiti, nella guida dell’Istituto e che sia lontano da lui ritenere la Bce un punto di passaggio sia pure per altre prestigiose istituzioni, interrompendo a metà il mandato conferitogli. Ci potrà essere, a tempo debito – perché sappiamo che un presidente sul Colle c’è ed è impareggiabile sotto tutti i punti di vista – una generale “vocatio” quirinalizia nei suoi confronti? Non è per ora prevedibile. In ogni caso sarebbe l’esaltazione della tecnocrazia. Ricordo che, quando alla caduta del governo D’Alema, fu autorevolmente e diffusamente proposto ad Antonio Fazio di assumere la carica di presidente del Consiglio, l’allora governatore ringraziò e si sottrasse all’invito, innanzitutto perché non si poteva istituire un transito diretto dalla Banca d’Italia, quasi un trampolino di lancio, a un’alta carica politica e poi perché vi era da esercitare un grande impegno nella costruzione allora della Bce e nella definizione dei rapporti tra questa e le Banche centrali nazionali. Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
Giovanni di Lorenzo, direttore della Zeit, si è portato avanti con il lavoro, come si dice con ironia. Mi pare che sappia anche lui come il giornalismo tenda ad anticipare l’ignoto quando non racconti il noto.
3-Al direttore - David Grossman e “gli altri come lui” hanno sicuramente letto il libro di Bernard Wasserstein “On The Eve: The Jews of Europe before the Second World War”. Non è vero – spiega l’eminente studioso inglese – che gli ebrei del Vecchio continente aspettavano passivamente lo scatenarsi della Shoah. Al contrario, cercavano di affrontare la minaccia in tutti i modi possibili: alcuni con l’assimilazione, altri con l’emigrazione, altri ancora con la conversione; alcuni si chiusero in un ghetto culturale, altri divennero comunisti, socialisti, liberali e perfino fascisti. Tutti cercavano di essere protagonisti della propria storia, senza però essere mai abbastanza forti per diventare padroni del proprio destino. Lo sono diventati con la creazione dello stato di Israele. Mi sembra quindi stravagante chiedere a un popolo di rinunciarvi, foss’anche parzialmente, in nome di una coesistenza pacifica da un altro popolo negata in via di principio.
In Italia il libro di Wasserstein è stato recensito da Donald Sassoon (Sole 24 Ore, 17 marzo 2013), il quale ha riproposto una domanda antica: cosa vuol dire essere ebreo? E’ una questione di religione, di etnia, di lingua? Non conosco l’ebraico, non sono credente, non sono sionista, quindi – si interrogava Freud – cosa mi rimane di ebreo? “Moltissimo… probabilmente – replicava – l’essenza stessa dell’essere ebreo”. Anche se poi ammetteva di non riuscire a esprimere chiaramente a parole questa misteriosa essenza. Dal canto suo, quando Kafka si chiedeva cosa avesse in comune con gli altri ebrei, rispondeva identificandosi con gli ebrei perseguitati, con la lotta contro ogni forma di antisemitismo. Io, che purtroppo non sono Kafka e non sono nemmeno ebreo, oggi direi la stessa cosa.
Michele Magno
4-Al direttore - Durante la Guerra civile spagnola i combattenti delle Brigate internazionali cantavano nel loro inno: “La patria non l’abbiamo perduta. E’ davanti a Madrid”. La nostra, oggi, è a Gerusalemme, con lo stato d’Israele che difende il proprio diritto all’esistenza in una solitudine colpevole e vile.
Giuliano Cazzola