Carestia di nascite e boom di eutanasia,
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Italia e Belgio si autoliquidano
In gergo tecnico si dice “baby crack” o “baby slump”. L’Italia, dati Istat, non registrava così poche nascite dal 1861. Dai tempi dell’Unità d’Italia. I nati nel nostro paese sono stati 515 mila nel 2013. Il record negativo, finora, era stato registrato nel 1995, con 527 mila nascite, quando l’Onu già ci poneva in testa alla classifica dei paesi che hanno un tasso di fertilità non superiore al 2,1 per cento, livello considerato indispensabile per mantenere una popolazione costante. La “piramide delle età” si sta rovesciando. L’Italia è un paese che muore e che ha già perso una generazione. Un paese dove presto i soli famigliari di sangue saranno i propri genitori. “Confucianesimo all’italiana”, l’aveva definito lo studioso Francis Fukuyama.
I cosiddetti “esperti” di demografia, che avevano sottostimato il fenomeno, adesso indicano la crisi economica per spiegare le culle vuote. Ma la tendenza alla denatalità è iniziata alla fine degli anni Settanta, quando la crisi non c’era e anzi l’Italia visse l’ondata dei “dinks”, “double income no kids”, ovvero doppio stipendio, niente bambini. Fra il 1935 e il 1947 l’Italia conobbe una guerra combattuta su tutto il territorio, morti in battaglia e per bombardamenti, deportati e prigionieri di guerra che non fecero più ritorno, perdite del territorio a est come a ovest, allontanamento degli uomini dalle famiglie. Eppure, fra tanti mali, la popolazione crebbe, in quel periodo, dai 42 ai 45 milioni. Così oggi nella ricchissima Germania la demografia fa più caduti della Prima guerra mondiale. E’ nota come la “peste bianca”. Il sociologo Ben J. Wattenberg, nel suo “Fewer: How the New Demography of Depopulation Will Shape Our Future”, osserva che mai, dai tempi della peste nera, in Europa i tassi di fertilità erano caduti più in basso di così, rapidamente, a lungo e ovunque. Wattenberg l’ha chiamata “Birth Dearth”, la carestia di nascite. “Il costante calo delle nascite nei paesi democratici industrializzati rischia di farli sparire. Se tale tendenza non cambia, dovranno dichiarare fallimento”. Le nazioni a rischio demografico sono, secondo Wattenberg, i paesi dell’Europa occidentale e il Giappone. “La gente si meraviglia; ma l’andamento è questo. Nessuno conosce il futuro. Ma dico: le forze in movimento sono queste. Se si va avanti così le conseguenze saranno fosche”.
Se il sud d’Europa, dall’Italia alla Grecia, detiene il record di tassi di natalità più bassi al mondo, il nord Europa vanta quello di eutanasie. In Belgio, già primo paese europeo per il tasso di suicidi, i casi di eutanasia sono aumentati di oltre il 700 per cento in dieci anni. Ogni giorno si registrano cinque casi. E ormai l’eutanasia legale è estesa a tutti, dai bambini disabili ai depressi cronici, dai gemelli non vedenti ai transessuali pentiti del cambio di sesso. Fanno impressione i numeri pubblicati ieri dal quotidiano belga le Soir. Ci parlano di un paese in preda al cupio dissolvi. Nella vicina Olanda l’eutanasia è talmente fuori controllo che molti farmacisti si stanno rifiutando di fornire i cocktail della morte. I tassi demografici dell’Italia e quelli eutanasici del Belgio sono accomunati dal mistero di due fra le società più ricche e pacifiche del Dopoguerra che hanno deciso di autoeliminarsi. Nel XIV secolo, una epidemia cancellò l’80 per cento della popolazione italiana e belga. Nel XXI secolo, gli italiani e i belgi stanno scomparendo per loro scelta. Perché la denatalità è una forma di eutanasia. Emblematica la decisione del dottor Wim Distelmans, pioniere dell’eutanasia in Belgio, che ha deciso di organizzare un viaggio-studio per decine di professionisti della medicina coinvolti nell’eutanasia. Destinazione? Auschwitz. Il dottor Distelmans dice di aver scelto il campo di sterminio perché lo ritiene un ambiente “stimolante” nel quale si può “sgombrare il campo dalla confusione intorno all’eutanasia”. Appunto.
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di Giulio Meotti, 30 maggio 2014 - ore 12