“Quel giorno con Nap…”. Burocrate racconta

i segreti della repubblica dei burocrati

Renzi e i burocrati. La Leopolda e i mandarini. Il governo e i ministeri. Il segretario e la palude. La prossima sfida del presidente del Consiglio, e il prossimo terreno sul quale Matteo Renzi dovrà misurare la sua capacità di far cambiare verso alla sinistra, e forse anche al paese, coinciderà con il tentativo di combattere il governo dei mandarini, la palude dei ministeri e tutta quella zona grigia generalmente identificata come l’Italia della burocrazia. La burocrazia, diceva Marx nei suoi manoscritti filosofici del 1844, è “lo stato immaginario accanto allo stato reale, è lo spiritualismo dello stato”. E in un certo modo, per capire qualcosa di più sullo stato immaginario di oggi esiste un personaggio particolare che vive all’interno del mondo dei ministeri, che si considera un burocrate, che fa parte dell’Italia dei mandarini e che ha scritto un libro non male. Sentite che storia. Lui si chiama Alfonso Celotto, è nato a Castellammare di Stabia, è professore di Diritto costituzionale a Roma Tre, è stato capo dell’ufficio legislativo sia nel ministero delle Politiche europee (con Emma Bonino, nel 2006) sia nel ministero per la Semplificazione normativa (nel 2008, con Roberto Calderoli), è stato consigliere giuridico del ministero dell’Economia (nel 2009, con Giulio Tremonti), capo di gabinetto del ministero della Coesione territoriale (nel 2011, con Fabrizio Barca e con Carlo Trigilia), oggi è capo dell’ufficio legislativo del ministro per lo Sviluppo Federica Guidi e poche settimane fa ha pubblicato, per Mondadori, un romanzo sui burocrati di stato. Il protagonista è “Il dott. Ciro Amendola, direttore della Gazzetta Ufficiale”, uno scrupoloso burocrate che prova a combattere la sua battaglia impossibile contro i fannulloni, i cialtroni dei ministeri e i parassiti della burocrazia. Cioè, un burocrate, Celotto, che parla di un burocrate, Amendola, che a sua volta parla della rottamazione dei vecchi burocrati di stato. Abbiamo capito bene? “La burocrazia – ci dice Celotto – è come una religione. Ha i suoi riti. Le sue liturgie. Il suo linguaggio. Ama parlare in latino. Spesso ama non farsi capire dagli altri. E in molti casi somiglia al modello del catasto fantozziano. Tempi lunghi, efficienza zero, molto latino, poca meritocrazia. E anche oggi, ahinoi, la situazione non è così diversa dal passato. Eppure…”. Eppure? “Eppure i dottor Amendola, i burocrati bravi, di talento, vogliosi di asfaltare la repubblica dei fannulloni, esistono ma sono nascosti lì, nelle segrete dei palazzi, e nessun governo ha il coraggio di premiarli davvero. Cosa dovrebbe fare Renzi? Ci sono molti strumenti. Le graduatorie. I premi di produttività. Smetterla di osservare il mondo dei ministeri come se fosse un universo fatto di caserme, dove si avanza, come succede negli eserciti, solo per anzianità, e dove nessuno ha il coraggio di misurare l’efficienza dei burocrati e dove è la melma che si produce e che non si spazza via che spesso fa affogare i governi”. I fannulloni, dice Celotto, si combattono con le sberle, con le riforme vere, come quella sulla Pubblica amministrazione, che ovviamente è la riforma più importante, nel mondo del dottor Amendola, e che Renzi ha promesso che porterà in Consiglio dei ministri il prossimo 13 giugno. Il presidente del Consiglio ha presentato uno schema di riforma composto da 44 capitoli, ma un conto sono i capitoli enunciati, un conto invece sono gli articoli della legge. “Ci vivo ogni giorno in questo mondo e so che la pancia della burocrazia ha paura del rinnovamento, e non parliamo della rottamazione, e che la forza della burocrazia è il suo essere complicata, indecifrabile, oscura. Renzi non vuole più l’Italia dei mandarini? Ok, ma un po’ di coraggio, allora: mandi a casa i fannulloni, gli prometta per un tot di anni uno stipendio ridotto del 50 per cento e con lo stipendio risparmiato assuma dei giovani e li metta alla prova”. E poi c’è il linguaggio, già. Celotto racconta un episodio di qualche settimana fa che riguarda proprio Renzi e Giorgio Napolitano e che avrebbe fatto svenire il dottor Amendola. “Avete presente il decreto sugli ottanta euro? Ecco. Quando entrò in Consiglio dei ministri Renzi scelse di dare al decreto questo nome. Un nome semplice, immediato: ‘Per un’Italia più semplice e coraggiosa’. Non ci crederete ma le burocrazie, le ragionerie e i mandarini si sono ribellati. Hanno considerato un’incredibile offesa alla storia delle istituzioni utilizzare una frase ‘buona per un tweet’ per presentare un decreto, e hanno costretto il presidente della Repubblica a intervenire sul nome. Hanno vinto loro: oggi il decreto numero 66 del 2014 si chiama, in effetti, ‘Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale’. Sul linguaggio, in questo caso, Renzi ha ceduto. Il signor Amendola spera solo che il governo non ceda anche il prossimo 13 giugno…”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 28 maggio 2014 - ore 13:12

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