Che fine hanno fatto le studentesse nigeriane?

Boko Haram ha diviso le ragazze in piccoli gruppi

per nascondersi meglio. Le colpe del governo di Abuja e i ritardi della comunità internazionale

Secondo fonti sentite dal Foglio solo un piccolo gruppo delle 223 studentesse del liceo di Chibok, rapite il 14 aprile da un commando di Boko Haram, sarebbe ancora detenuto nella foresta di Sambisa, nel distretto di Kodunga, in Nigeria. Le altre, suddivise in gruppi di 10 o 15 ragazze, sarebbero state trasportate a bordo di camion, simili anche nel colore a quelli dell’esercito nigeriano, ai confini del Camerun, Ciad e Niger. Lo spostamento delle adolescenti, di età compresa tra 12 e 17 anni, è avvenuto due giorni dopo il loro sequestro. “L’inerzia della autorità nigeriane – dicono le nostre fonti – protrattasi per oltre tre settimane, renderà estremamente difficile la ricerca delle studentesse che, nel frattempo, sono state sottoposte a ogni forma di violenza. Riteniamo che almeno otto di loro siano morte di stenti e delle ferite inferte dai miliziani nei pressi della frontiera camerunense. La decisione di dividere le liceali, assunta personalmente dal capo di Boko Haram, Abubakar Shekau, era stata pianificata ancor prima del  sequestro con l’intento di renderne quasi impossibile la localizzazione e agevolarne la consegna ad altri miliziani incaricati di avviarle alla loro destinazione finale. Solo dopo aver concluso tale operazione, durata almeno due settimane, Shekau ha rotto il silenzio rivendicando il sequestro. Il fattore tempo ha giocato un ruolo cruciale per i destini delle ragazze rapite. Lo sanno bene gli specialisti che saranno inviati dalla Gran Bretagna, dall’America e dalla Francia, per supportare nelle ricerche il governo nigeriano. In casi come questi tre settimane sono un’eternità. Se a ciò vengono aggiunte le complicità esistenti tra Boko Haram e settori importanti degli apparati di sicurezza, si riesce a comprendere appieno tutta la drammaticità della situazione che si è venuta a creare. Anche i mezzi blindati, in possesso dei jihadisti, sono stati dipinti con la stessa vernice usata per contraddistinguere quelli degli apparati di sicurezza di Abuja. Un elemento, questo, che ha tratto in inganno sia gli abitanti di Chibok sia quelli della città di Gamboru Ngala, nel nord-est della Nigeria, attaccata lunedì dai miliziani che hanno ucciso oltre 300 persone tra uomini, donne e bambini. Tutti coloro che non sono riusciti a fuggire sono stati assassinati. Poche ore fa abbiamo appreso, da nostri informatori, informazioni sulla presenza nelle zone di frontiera prima indicate di trafficanti d’organi ed esseri umani carichi di denaro e armi. Inoltre, almeno 25 di queste adolescenti, sarebbero state “prenotate” da membri di spicco di al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). In queste condizioni appare quanto mai offensivo che solo ora, dopo giorni e giorni di colpevole latitanza e indifferenza, la polizia nigeriana abbia deciso di offrire la ricompensa di 300 mila dollari a chiunque fornisca informazioni in grado di condurre alla liberazione delle studentesse. Il tutto mentre ieri, in un villaggio ubicato nella stessa zona di Chibok, altre otto ragazze erano. Eppure i servizi di sicurezza del paese sono perfettamente a conoscenza della spietatezza dei jihadisti di Boko Haram che con i loro attacchi sanguinosi hanno provocato, da gennaio a oggi, oltre 1.500 morti”.

FQ, di Pio Pompa, 8 maggio 2014 - ore 08:45

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