“La Cgil all’assalto di Renzi. No democrazia”,

 che litanìa No concertazione, no party.

Camusso guida gli altri sindacati contro il governo che non vuole più fargli toccare palla. Tutti i precedenti

No concertazione, no party. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, nella sua relazione di ieri per il congresso di Rimini, non ha mai citato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Ma al governo si è rivolta eccome, e con toni più duri che mai. Non si è infatti limitata a criticare questa o quella misura, piuttosto ha accusato l’esecutivo di fare sua “una logica di autosufficienza della politica che sta determinando una torsione democratica verso la governabilità a scapito della partecipazione”. Renzi, come il premier Monti prima di lui, avrebbe dimostrato “insofferenza per la concertazione” con le parti sociali, negando loro “il ruolo di partecipazione e di sostanziamento della democrazia”. Anche per questo sarebbero spariti “dall’agenda politica attuale” temi come la riforma delle pensioni (vedi alla voce “esodati”), il piano del lavoro per contrastare il “lavoro povero”, il fisco e l’equità (con nuova richiesta di patrimoniale), la lotta all’evasione: “Punti sui quali aprire una vera e propria vertenza, da proporre a Cisl e Uil”. Per ora l’adesione degli altri sindacati è arrivata proprio sulla difesa del metodo concertativo (“anche se non abbiamo la vocazione al soggiorno nella Sala verde di Palazzo Chigi”, ha precisato Camusso dicendosi pronta a “far valere le nostre ragioni”): Raffaele Bonanni (Cisl) ha detto che “chi ha fretta fa fuori la democrazia”, Luigi Angeletti (Uil) ha aggiunto che senza organizzazioni sindacali in Italia non si fa alcuna riforma.

D’altronde l’escalation di riferimenti alla democrazia in pericolo, da parte della Camusso, è iniziata qualche settimana fa: il 7 marzo scorso, commentando le bozze governative del Decreto lavoro, aveva detto che “telelavoro e Tweet non possono sostituire i lavoratori e la democrazia”; il 13 marzo aveva messo in guardia da una legge elettorale che dimenticava di guardare “non solo alla governabilità ma anche alla democrazia”; il 24 marzo aveva detto che Renzi si attestava su “posizioni che indeboliscono sempre la democrazia”; mentre il 4 aprile sosteneva che la riforma del Senato “diminuisce il tasso di democrazia”. Litanìa insistente, cui il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ieri ha risposto così: “Il governo ascolta tutti, ma poi decide”. In serata, al Tg5, è intervenuto anche il presidente del Consiglio Renzi: “I sindacati devono capire che la musica è cambiata”.

FQ. di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 7 maggio 2014 - ore 09:30

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